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Titolo: Tutti i fiori delle aiuole germaniche

Autore: Cipriano Efisio Oppo

Data: 1939-07-19

Identificatore: 1939_211

Testo: LA MOSTRA DEL GIARDINO A STOCCARDA
Tutti i fiori
delle aiuole germaniche
Stoccarda, luglio
Una graziosa, e alquanto presuntuosa storiella sveva, narra come la creazione del paese del Württemberg derivi in modo diretto da una predilezione del Padreterno. Allorché Domineddio cominciò la grande opera della Creazione, dice la storiella, provò l’effetto prima con un modello a scala ridotta. Nel plastico geniale introdusse naturalmente tutti gli elementi: alti monti, colline leggiadre, prati d’oro, ruscelli d’argento in fondo a valli rocciose, laghi specchianti l’azzurro del cielo, quel cielo che fu messo per ultimo con una cupoletta dipinta di trasparente celeste ove vagavano leggerissime nuvolette. Infine Iddio, nelle proporzioni del modellino, inventò gli alberi e i fiori, profumò l’aria, e popolò quel mondicino in miniatura di deliziosi abitanti: uccellini cantori d’ogni razza, e pesci, d’oro e d’argento.
Il modellino di Dio in un paese tranquillo
Il mondo, come si sa, riuscì benissimo. Una settimana dopo, di domenica, Iddio stava contemplando l’opera sua gigantesca, quando l’occhio gli cadde sopra il modellino ch’era lì in disparte. Così in un canto a rovinarsi non poteva, certo, restare dopo avere servito al suo Autore tanto bene: nè a quel tempo c’erano musei. Iddio decise di scegliere un luogo calmo sulla vasta superficie della terra ed ivi deporre delicatamente, come sa far soltanto Lui, il piccolo capolavoro. Questo luogo fu il Württemberg, nel paese svevo.
Va da sé che di questa storiella vanno molto fieri gli abitanti del Paese. E certamente fra i tanti bei luoghi della Germania, Stoccarda e la campagna che la circonda hanno un particolare carattere di opulenza della Natura. La bella città, più che ai suoi tesori di architettura e alla sua moderna urbanistica, sembra tenere ai suoi grandi parchi, agli alberi maestosi che giganteggiano per ogni dove, nel bel mezzo della città come nei giardini privati. E mette fiori a tutte le finestre, fiori ben curati, selezionati, tenuti a ingigantire entro serre che conoscono tutti i secreti dell’arte; arte, quella del giardino, che a Stoccarda è tenuta non solo con grande onore presso tutti i privati, ma che è divenuta una vera, magnifica, malattia municipale: ci vien fatto di pensare che non altrettanta attenzione debba venire, fatta alla salute pubblica, la quale d’altronde è fiorentissima al primo sguardo. (E ci perdoni il Borgomastro lo sconveniente pensiero).
Un'intera regione riassunta in pochi ettari
Abbiamo avuta la fortuna di poter fare un giro per Stoccarda e per la periferia accompagnati dal direttore del « verde » del municipio. A buon diritto Stoccarda è chiamata « la città giardino ». Una cura perfino esagerata presiede alla manutenzione e alla creazione dei giardinetti delle case popolari e medie, e sempre per conto del municipio: dalle erbe che bordano le strade, ai rampicanti che s’inerpicano sui muri oziosi e abbandonati, agli sfondi di vie, ai belvederi intorno intorno alla città.
Non poteva quindi nascere altrove, con maggior ragione, la spettacolosa mostra nazionale tedesca del giardino di quest’anno ’39.
Imitando lo spirito della storiella che vi abbiamo narrato al principio, gli organizzatori della mostra hanno voluto creare nello spazio di poco più di cinquanta ettari la riproduzione in miniatura del vasto paese della Svevia; non dunque un giardino soltanto ma un piccolo delizioso mondo naturale con monti, valli, laghi, corsi d’acqua, boschi e giardini fioriti. Padiglioni pochissimi, quelli strettamente necessari. Meglio così! Perchè a vedere l’ingresso della mostra, il monumentale salone d’onore e altri pochi campioni d’architetture, non sembra che i bravi architetti dei giardini siano altrettanto aggiornati in fatto di architettura vera e propria. Ma basta inoltrarsi fra prati e boschi per rimanere incantati. Il terreno arido e impervio stendentesi selvaggio intorno a una abbandonata cava di pietra è stato trasformato in poco tempo in un luogo bellissimo, e unico al mondo nel suo genere. Vario quanto mai, questo piccolo paradiso sembra molto più grande che realmente non sia: c'è di tutto e sempre con l’aria di esserci sempre stato. Sapete che sono state piantate le più umili piante di bosco e di prato, i fiorellini più comuni, più stenti, più ingrati, se pur ne esistono? E tutto ciò per dare al vasto parco l’aspetto meno artificiale possibile. Quando saranno passati pochi anni nessuno, se non saprà, potrà immaginare che questo milione di piante varie, questi sessantamila rosai, questi centomila cespugli e le famiglie che metteranno al mondo, siano state predisposte dalla mano dell’uomo. Inoltre i millecinquecento alberi di alto fusto, alcuni alti venti metri, dell’età già quasi veneranda di sessant’anni e del peso di cento quintali, tigli, aceri, faggi, betulle e quercie, sono stati trapiantati e messi « a dimora », come dicono i tecnici, con tanto di-scernimento, sapere ed amore, che non hanno perduto una fogliolina.
La valle delle rose
La mostra, rimanendo aperta da aprile a ottobre, in questi mesi cambia, è naturale, la veste fiorita; ma anche per ciò ha i suoi luoghi deputati: il grande prato dei fiori a bulbo, il giardino delle primule, il prato dei fiori estivi, il giardino speciale per gli arbusti che amano l’ombra, ecc.
Grandi impianti idrici rallegrano la vista sia sotto l’aspetto di fontane e bacini comuni o bizzarri, dalle molteplici polle d’acqua ai ventagli d’acqua polverizzata; sia sotto l’aspetto di torrentelli impetuosi, di fragorose cascate, di laghetti selvaggi fra le roccie desolate. E così nel vostro cammino, piacevolmente sorpreso, anche se profano, dagli aspetti diversi, a tutto finite per interessarvi: all’orto delle piante medicinali, ai giardinetti di «fine settimana »; ai giardini sperimentali e ai campi di giucco per alunni; ai giardini di piante preferite dalle api; alla mostra comparativa della pianta selvatica e della pianta coltivata; e persino, dopo le case minime con giardini, all’osteria campestre, alla via dei negozi; vi interesserete al niente affatto lugubre «cimitero modello» con i suoi fiorellini gentili e le sue piante sempreverdi e rifiorenti.
Ma la cosa che attrasse di più la nostra attenzione, fu quando il piccolo trenino, che sui binari a scartamento ridotto traversa i prati sprezzando le strade normali, s’inerpicò fino al bordo che circonda la « valle delle rose ».
Abbiamo già accennato a sessantamila piante di rose. Son tutte lì, come nate e sposatesi e riprodottesi a caso, o meglio, secondo l’ordine naturale delle cose: s’intrecciano i rami delle rampichine a quelli delle più robuste e spinose con l’aria di chiedere compagnia ed appoggio nel salire e sbocciare; e stanno altre a cespuglio, sole, orgogliose, con i fiori composti di cinque petali come il flore delle piccinine, ma con petali così grossi da gareggiare con quelli delle dalie; ed altre piante hanno foglie scurissime, quasi nere; altre ancora son di rameggio tenero e di color pallido; altre piene di getti coraggiosi, esube-
ranti di voglia di crescere e di strafare; e tante, e tante, a perdita d’occhio s’abbracciano e si intersecano. E tutte le sessantamila hanno un nome?, pare domandare il trenino, comicamente sbuffando ad ogni voltarsi lungo il giro della cresta che circonda la valle delle rose.
Vita feerica e paradossale
Tutte le piante e tutti i fiori conosciuti dall’uomo sono stati da lui battezzati come creature di Dio! Per parte nostra abbiamo sempre, invidiato il sapere dei botanici, e il loro linguaggio, ai più, misterioso: quel linguaggio ricco di tenerezze e di soavità e di fantasia, come s’usa talvolta nel parlare di bimbi: i quali s’hanno da tenere caldi, da nutrire secondo le stagioni, da far crescere, da divezzare, infine da condurre per mano finché non sappiano vivere da soli.
La sera quando l’ultimo bagliore di luce naturale s’è spento, comincia nella mostra del giardino la vita feerica e paradossale. Da sorgenti misteriose gli alti alberi si illuminano, e sembrano allungarsi nel cielo in più gigantesca misura: e aprono ricami, proiettano rami pirotecnici, mentre ombre di velluto si aggirano in compagnia del vento fra quelle gale di luce. Anche sui prati, sui cigli erbosi dei dirupi, cadono macchie di sole artificiale, per fortuna privo di quei colori liquoristici cui siamo abituati fra noi: come se la luce non da una unica fonte venisse distribuita, ma a manciate cadesse dal cielo o scaturisse da piccoli gorghi sotterranei ove nani misteriosamente affaccendati intorno a qualche metallo luminescente istradassero faville e fulgori per l’incendio di masse di tulipani, di azalee e di rododendri.
Si capisce che, come in tutte le mostre, la sera finisce poi, inesorabilmente, sopra una terrazza, al ristorante, al cosiddetto belvedere. Allora sono i giuochi d’acqua i quali tentano di distrarre, con il loro variare e impennacchiarsi, il visitatore ormai gonfio di sonno e d’aria aperta e di bellezza: scontento, come ogni uomo il quale, sorprendendosi contento, faccia sforzi titanici per rovinare quell’attimo di gioia e tornare all’eterno lamentarsi cui il Sommo Iddio sembra averlo condannato.
Eppure la bella mostra di Stoccarda rimane nei sogni.
Cipriano E. Oppo
Giuochi d’acqua in un angolo della Mostra

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 19.07.39

Citazione: Cipriano Efisio Oppo, “Tutti i fiori delle aiuole germaniche,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 11 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2628.