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Titolo: Narratori al vaglio

Autore: Enrico Falqui

Data: 1939-08-16

Identificatore: 1939_225

Testo: Narratori al vaglio
Batti e ribatti, dalli e ridalli, dovrebbe ormai risultar chiaro che le antologie, almeno per la critica disposta a impegnarvisi e non a rimpiattarvisi, rappresentano un modo, forse il migliore perché più concreto più diretto e però più persuasivo, di spiegarsi con gli esempi. Spiegarsi: rendere cioè evidente, attraverso l’ordinamento di una scelta, il criterio o giudizio o gusto in cui va ricercata e, possibilmente, ritrovata la ragione e l’idea, storica o estetica o polemica, dell’opera stessa. La quale, dunque, non sfugge, senza annullarsi nell’incertezza d’una documentazione insufficiente e senza così ridursi da antologia a zibaldone, non sfugge al rischio d’una certa perentorietà, come sempre suole accadere nel passaggio dalle parole ai fatti, allorché s’adduce un esempio a campione.
Ma se da una cattiva poetica si può benissimo trarre una buona poesia (o racconto o romanzo), non è ugualmente provato che una buona antologia possa ricavarsi da una qualunque idea. Ogni antologia, quando non si accontenti d’essere documentaria, la risultante d’un ragionamento critico sottinteso e a un tempo manifesto nel rigore di un’esemplificazione che, anche attraverso un contributo parziale (limitato nel tempo e nel genere), vuole salve le esigenze di un’estetica in una specie d’anticipata prospettiva storica. Da ciò il valore, non foss’altro di indicazione, se non si trattasse piuttosto di un’autentica compromissione, che ogni vera antologia non può a meno d’assumere in rapporto allo stesso momento storico e letterario in cui fu ideata e condotta.
Occorre un’idea, quanto possibile chiara ed esatta, e che come tale risulti osservata, perché una antologia non venga meno al proprio scopo, sia anche il più aleatorio, come quello di divertire. Vi entri un componimento o un pezzo noioso, ve n’entrino due tre, e il divertimento è bell’e compromesso. Il titolo l’annunzi dedicata alla narrativa, di ieri o di oggi o di quando che sia, ma dentro vi figurino scritti di altro genere e di altra stagione: addio promesse, addio speranze. E, mentre ogni dichiarata e rispettata faziosità può riuscire istruttiva, solo inutili e per giunta dannose si accertano la condiscendenza e l’incertezza, per la contraddizione stessa in cui vengono a risolversi, specie in un’antologia, dove tutto deve mirare alla dimostrazione e alla persuasione. Ma veniamo al fatto, giacché codeste considerazioni, più che altro di metodo e dunque assommanti in vere e proprie pregiudiziali, ci sono state suggerite dall’esame dell’antologia dei Narratori d’oggi (Vallecchi, Firenze) a cura di Angioletti e di Giacomo Antonini e dalla lettura degli scritti variamente polemici ch’essa va suscitando.
Giunto al termine del suo saggio (prolisso eppure sommario, ottimistico eppure generico) su La nuova prosa narrativa italiana, che serve largamente da introduzione all’antologia, l’Antonini si rallegra della strada percorsa e, volgendosi a riconsiderarne l’itinerario dal punto di partenza a quello d’arrivo (se partenza e arrivo ci sono, data la vaghezza dei termini e la discontinuità del tracciato), fa per trarre due conclusioni. Tali, invece, da giungere al nostro orecchio appena con un fiducioso suono d’augurio.
La prima è che, « attraverso disuguaglianze ed anche opposizioni di temperamento, gli scrittori... presentati valgano in quanto le loro affermazioni artistiche sono positive rispetto alle innumerevoli prove dei dilettanti e dei velleitari ». E valga almeno l’augurio; ma a noi vuol sembrare che non sempre le prove trascelte toccano la probante concretezza di un’« affermazione artistica », sia rispetto all’opera dei singoli narratori sia nel più vasto confronto degli uni con gli altri e, sopra tutti, degli assenti coi presenti. Un’ordinata e più gerarchica documentazione delle reali posizioni raggiunte dai nostri odierni Narratori avrebbe offerto qualche sicuro vantaggio, e non come semplice raccolta di materiale da studia Ma sarebbe occorso condurla indipendentemente da ogni limite cronologico rispetto all’età degli autori e degli scritti da esemplare. Ché ognuno, in arte, tanti o pochi, sprecati o no, ha gli anni che si merita. E troppo ingiusta, arbitraria riesce, vieppiù tra i vivi, in un bilancio letterario, ogni altra distinzione non propriamente di merito. Ma quand’anche si fosse voluta adottare una siffatta limitazione cronologica (a vantaggio, per esempio, dei nati dal ’900 in giù; e sarebbe stato curioso scamuffare l’ottocentismo di taluni giovani, riscontrandolo col rovecentismo di taluni adulti), sarebbe bisognato attenervisi per non finir di toglierle ogni possibilità di approssimativa distinzione storica, considerata già la mancanza, in sede estetica, d’ogni pur necessario potere di discriminazioni.
Secondo augurio: « con questa raccolta si è voluto rispondere coi fatti a tutti coloro che continuano a dire, pubblicando o comprando traduzioni di mediocri autori stranieri, che in Italia non c’è proprio nulla... ». E qui, pur condividendo e confermando, di buona anche se diversa ragione, ogni « fiducia nell’arte narrativa italiana », vorremmo subito osservare che, in Italia, avuto riguardo alla produzione narrativa e anche sulla scorta dei numerosi rinomati autori non trascelti (qualcuno nemmeno nominato e sono i casi contro i quali più s’appunta la polemica), c’è di meglio: non poco e senza levar merito ad alcuno.
De gustibus... Ma d’ogni antologia, accertato l’intento e discusso il criterio, ci si ritrova a dover esaminare la rispondenza tra l’impostazione teorica e l’attuazione pratica in un piano critico dove ormai più delle parole contano i fatti e dalle premesse si dovrebbe arrivare alle conseguenze semplicemente voltando pagina. Sicché, quando dall’insieme degli autori (nel caso presente, un insieme confuso e disforme, che non forma gruppo e nemmeno designa uno svolgimento sì da lasciare più fortemente ingiustificate certe esclusioni) si passa ai singoli scritti, è giocoforza disputare sul gusto della scelta. E lo puoi fare sia contrapponendo un tuo gusto a quello del compilatore (ma tanto varrebbe metter mano a una nuova diversa antologia) sia richiamando il compilatore a una più stretta osservanza del criterio e del gusto da lui stesso lasciati supporre nell’enunciato del lavoro. Il miglior partito resta quest’ultimo, a non voler mostrarsi troppo invadenti e a considerare l’opera per quello che avrebbe voluto essere nell’intenzione dell’autore, non per quello che avrebbe potuto diventare se, in contrapposizione, l’avesse architettata e costruita un altro.
Teniamoci ai fatti: al proposito da Antonini esposto e da Angioletti avallato. Né ad Angioletti dispiaccia se tuttavia ci pare di doverlo tenere come in disparte nella discussione. Ma per quel che da anni lo conosciamo e stimiamo, per quel che da anni veracemente ci si riconferma, come ammettere che possa corrispondere alla sua l’opinione d’Antonini secondo la quale « in un’antologia di prosatori d’arte compilata con criteri d’equità letteraria e di buon gusto Adolfo Franci dovrebbe figurare, come d’altronde Paolo Monelli, in primo piano»? Tanto per citare un esempio della preponderanza avuta nel lavoro dall’Antonini e senza presumere di negare o lesinare a Franci e a Monelli la giusta considerazione cui hanno diritto e di cui del resto godono nell’ambito del proprio lavoro. (Ma: tante teste, tante sentenze. A noi che scriviamo non capitò, ultimamente, in una certa antologia della prosa d’arte italiana contemporanea, di dare i primi posti a scrittori diversi? E non ne nacquero, specie tra i poeti, allarmi e polemiche che ancora van serpeggiando? ).
I fatti testimoniano che, accettata la distinzione degli scrittori prosastici, non critici non storici non scienziati, in narratori e in prosatori d’arte (empirica quanto si vuole e tutta di comodo, ma di un empirismo e di una comodità risolventisi nell’agevolezza di una chiarificazione e quindi di una aderenza e di una persuasione critica maggiore), a una tal distinzione sarebbe stato opportuno attenersi anche nel corso dell’esemplificazione, badando a non trascegliere componimenti, quando non addirittura autori, mal partecipanti, o solo a tratti, dei caratteri proprii alla narrativa. (Cfr. Bartolini, Landolfi, Lisi, Malaparte. A parte, per altri, l’inconvenienza di certi tagli).
E poiché, stabilendo già nel titolo, con « narratori d’oggi », l’assunto del lavoro, se n’erano, per quanto all’incirca, adombrati i limiti di tempo, forse sarebbe convenuto dare all’indicazione di « oggi » una portata meno cronologicamente elastica e più criticamente rigida! Ma i sedici narratori prescelti vanno da Titta Rosa (1891) a Benedetti (1910), attraverso Lisi (1891) Alvaro (1895) Comisso (1895) Tecchi (1896) Malaparte (1898) Bartolini (1899) Carocci (1904) Bonsanti (1904) Soldati (1906) Piovene (1907) Vittorini (1908) Landolfi (1908) Bilenchi (1909) Quarantotti-Gambini (1910). Per giunta, nel saggio introduttivo (che non vorrebbe ripetere « lo schema un po’ invecchiato del panorama » e mira a restringere il proprio esame « a quegli scrittori che... non solo hanno un loro mondo da esprimere ma fanno presumere un progresso ed una durata », secondo un giudizio che non sempre e non per molti trova conferma nell’« opinione della critica migliore») troviamo accampati certi curiosi e confusi raggruppamenti critici in forza dei quali (tenuti lontani e così esclusi quali « predecessori » ma alla rinfusa: Palazzeschi Soffici Pea Bacchelli Bontempelli Savinio Fracchia Sobrero Panzini Garsia Aniante Franchi Svevo Tozzi Vergani Savarese Aleramo), soltanto dieci dei sedici eletti trovano posto nella scelta tra gli « scrittori nuovi », a differenza di Angioletti Stuparich Gadda-Conti e Gadda Carlo Emilio Debenedetti Moravia Loria, pur ammessi, nel saggio introduttivo, tra gli « scrittori nuovi». Continuando: due dei restanti (Quarantotti-Gambini e Vittorini) figurano tra i « più giovani », insieme a Giuseppe Lanza Ferrata De Michelis Emanuelli Terracini Sanminiatelli Tofanelli Gallian Terra Manzini tuttavia non esemplati. Infine gli ultimi quattro (Lisi, Landolfi, Benedetti, Bilenchi) rappresentano gli autori delle « nuove esperienze » (ivi compresi, ma potenzialmente, nel saggio: Papi, Petroni, Otello Vecchietti, Marescalchi, De Angelis, Morovich, Delfini, Montanelli).
Ridda di nomi tra i più opposti e di tendenze tra le più contrastanti, in mezzo alla quale non è possibile orientarsi. Difatti noi confessiamo di non esserne venuti a capo. Per quanto i sostantivi in tà tendano a sollevarsi in un poeticissimo cielo di astrazioni, dove il linguaggio critico corre sempre un po’ il rischio di perdersi nel vago, quel che all’Antonini piace meglio segnalare e lodare nei « più giovani » narratori italiani è la serietà, la responsabilità, la personalità, l’umanità, la costruttività, l’universalità, l’attualità. Qualità tutte, si vorrà ammettere, riscontrabilissime anche in altri narratori d’oggi che giovani più non sono. E s’è già visto come quello della gioventù valutata in base alla fede di nascita sia criterio che in letteratura può portare a ingiustizie e incongruenze. Ma s’ha da aggiungere che l’Antonini non v’è certo caduto a fin di male né per mettere zizzania. Perché non dovrebbe credersi lo stesso anche di noi e delle nostre osservazioni? Esse sono dettate dal comune amore per la buona letteratura. Solo che in noi tale amore vuol prender forme più circostanziate e meno liberali.
Enrico Falqui

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 16.08.39

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Citazione: Enrico Falqui, “Narratori al vaglio,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2642.