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Titolo: I polsini inamidati

Autore: Ercole Patti

Data: 1932-05-11

Identificatore: 1932_225

Testo: I polsini inamidati
Seduta ad un balconcino fiorito, in una stradetta silenziosa, una donna cantava la seguente canzone:
No, non sono una bambola dagli occhi azzurri e dal capelli d’or.
Se volete una bambola compratela al bazar.
La donna non s’ingannava. Ella infatti non era una bambola dagli occhi azzurri e dai capelli d’or, bensì la quarantaquattrenne Fausta Amidei domestica di casa Annibaldi.
Nell’aria del quieto pomeriggio si avvertiva vagamente il prossimo autunno. Il sole cominciava a tramontare. Alle finestre delle vecchie case del rione facevano capolino visi insonnoliti di gente che s’era alzata allora da letto e veniva a godersi un po’ di fresco. Qualche signore, in maniche di camicia, fumava la pipa al balcone.
In quella gran pace che regnava intorno la Amidei insisteva col suo ritornello: « No, non sono una bambola ».
A giudicare dall’insistenza con la quale ella ripeteva questa sua smentita c’era da pensare che degli sconsigliati si ostinassero, con evidente malafede, ad affermare che ella fosse una bambola dagli occhi azzurri e dai capelli d’or, e che la brava donna, infastidita da questo equivoco, cercasse a qualunque costo di chiarirlo ripetendo a sazietà che ella non era affatto una bambola, tanto meno poi dagli occhi azzurri e dai capelli d’or, aggiungendo anche, con una punta di risentimento, che se volevano una bambola, andassero a comprarsela al bazar e non stessero a seccare la gente.
Invece niente di tutto questo. Nessuno si era mai sognato di affermare che la Amidei fosse una bambola dagli occhi azzurri e dai capelli d’or e ciò nonostante la brava donna si ostinava, da più di un’ora, a smentire canoramente una cosa che, in definitiva, nessuno aveva mai pensato. Bizzarrie dell’animo umano!
La donna aveva attaccato per la ventesima volta il ritornello quando il vecchio Annibaldi le gridò dall’interno della stanza:
— Fausta!
La Amidei borbottò delle frasi minacciose e poi tacque. Il vecchio Annibaldi apparve sul balcone in maniche di camicia.
— Dove sono i miei polsini? — chiese cupamente.
— Sul tavolo! — rispose con tono secco la Amidei.
Il vecchio rientrò, dirigendosi verso il tavolo. Quattro polsini inamidati dalla forma tubolare si allineavano uno accanto all’altro come una batteria di pile elettriche. Il vecchio li esaminò uno per uno minutamente, vi fece scattare sopra l’indice per sentirne il suono, si provò a stringerli fra le mani. I polsini mandarono un sommesso scricchiolio: erano croccanti. L’Annibaldi li sbatté con forza sul tavolo gridando:
— Non sono abbastanza rigidi!
— Come? — chiese la Amidei dal balcone senza voltare il capo.
— Dico che sono troppo mosci! Quante volte vi debbo dire che i polsini li voglio duri, tosti! — urlò il vecchio.
— Più duri di cosi? — urlò a sua volta la cameriera dal balcone senza tuttavia voltare il capo. — E’ incredibile. Ma se sembrano di legno!
— Meno confidenza! — tuonò il vecchio. — E state al vostro posto!
— Per te ci vorrebbero dei polsini di bandone! — gridò la donna richiamando con quel grido l’attenzione dei passanti.
— Che cosa significa questo « tu »? — gridò il vecchio al colmo della rabbia. — Sono o non sono il vostro padrone?
— Oh! Basta, insomma! Mi hai seccata parecchio — concluse la domestica. — Adesso vattene!
Il vecchio si infilò in fretta la giacca ed usci sbatacchiando la porta. Nonostante i suoi settanta anni suonati si manteneva ancora abbastanza in gamba e vestiva con ricercatezza. Fatti pochi passi si fermò di botto e dal marciapiede chiamò:
— Fausta!
— Che c’è? — rispose con mala grazia la donna sporgendosi dal balcone.
— Buttami giù le ghette grigio perla!
— Quante storie! — commentò la donna. — Anche le ghette adesso!
Poco dopo un paio di ghette piombavano sul marciapiede. Il vecchio le raccattò e, appoggiatosi al muro, se le mise affannando. Poi, giocherellando con la sua indivisibile canna d’India, si allontanò a passetti agili. L’affare dei polsini lo aveva messo di cattivo umore.
Ad un tratto la sua attenzione fu attratta da una stireria. Sei o sette ragazze, in camice bianco, lavoravano alacremente a stirare biancheria. S’udivano i tonfi continui dei ferri contro il tavolo. Ritto davanti al tavolo, con le spalle rivolte alla strada, stava un signore di una certa età correttamente vestito.
— Sarebbe nelle mie intenzioni — diceva il signore con voce cavernosa, rivolto alla proprietaria della stireria
— farmi stirare camicie, colletti e, soprattutto, polsini.
A quelle parole il vecchio Annibaldi tese l’orecchio e, senza averne l’aria, si avvicinò ponendosi in ascolto.
— Comuni amici — prosegui il signore con la sua potente voce cavernosa — dei quali non è il caso di fare i nomi, mi hanno parlato molto bene di lei, delle sue ragazze e del loro geniale e rapido sistema di inamidare la biancheria.
Soggiogato dall’argomento che lo appassionava particolarmente, il vecchio Annibaldi si accostò ancora di più, ben deciso a non perdere una sola parola di quanto il signore sconosciuto andava esponendo.
— Orbene — riprese il gentile signore — sappia che da anni ed anni io cerco invano una stireria che faccia al caso mio. Ne ho provate moltissime, ma, ahi, mi hanno tutte deluso. Non una sola seppe mai lasciarmi contento. Soprattutto per la delicata faccenda dei polsini.
Il signore tossi cercando di schiarirsi la voce. Poi, scandendo bene le sillabe, riprese:
— Io, come lei stessa potrà facilmente constatare, adopero dei polsini inamidati tubolari. Sono anni ed anni che ho questa abitudine e credo che non l’abbandonerò giammai. Questi polsini, come lei vede, sono staccati dalla camicia con la quale non hanno e non debbono avere alcun rapporto.
Il vecchio Annibaldi approvò ripetutamente con cenni del capo.
— I vantaggi di questa autonomia dei polsini — prosegui il signore — sono incalcolabili. Pulizia, economia, eleganza, comodità, risparmio di tempo, eccetera. Soprattutto comodità. Nell’atto di uscire di casa io, senza stare a perdere tempo a cambiarmi la camicia, m’infilo, con mossa ràpida, i polsini. Quando rincaso, con eguale mossa, me li tolgo.
— Bene! — approvò sottovoce il vecchio il quale, via via che il discorso andava avanti, si appassionava sempre più.
— Questa operazione è di una semplicità estrema, addirittura dementare. Io, che ormai ho acquistato una grande pratica, la compio in un baleno. Osservi. Ecco i polsini. Attenzione. Hop! Eccoli belli e tolti.
Ratto come il fulmine, il signore si era sfilati dalle maniche ed aveva deposto sul tavolo due giganteschi polsini inamidati dalla forma tubolare. Le ragazze, incuriosite dall’esperimento, avevano tralasciato il lavoro per fare crocchio attorno a lui.
— Benissimo! — mormorò il vecchio vibrante d’entusiasmo.
— Adesso — riprese il signore — li rimetteremo a posto. Attenzione. Voilà! Fatto!
Egli aveva tuffato le mani entro i polsini deposti sul tavolo e in un attimo, alzando le braccia, se li era nuovamente infilati.
La signora, in una con le ragazze, si congratulò molto col signore, per la sua non comune abilità.
— Ora questi polsini — disse quest’ultimo — perché diano il rendimento che debbono dare, Vanno stirati con molta cura e moltissimo amido. Devono essere durissimi.
— Sante parole! — proruppe il vecchio che ormai non riusciva più a contenere l’entusiasmo che gli procurava quel discorso.
— Nessuna stiratrice — concluse il signore — finora è riuscita a realizzare questo indispensabile grado di durezza. Nessuna!
— Nessuna! — fece eco il vecchio con amarezza. Poi avvicinandosi al signore lo toccò delicatamente sulla spalla. Il signore si voltò.
— Anch’io soffro tanto per i polsini! — disse il vecchio con voce turbata. — Permette che mi presenti? Annibaldi.
— Montanarelli — rispose il signore stringendogli calorosamente la mano.
— Guardi i miei! Guardi un po’ che roba! — disse il vecchio con voce di pianto sfilandosi uno dei suoi grossi polsini e porgendolo al signore che si mise ad esaminarlo con somma attenzione, scuotendo ripetutamente la testa.
Cominciavano ad accendersi le prime lampade, bianche e splendenti nella luce smorta del crepuscolo. Uscivano, a passi di gazzella, le prime ragazze dai laboratori. Qualche servotta scantonava frettolosa con un fiasco in mano.
I due si avviarono lentamente, discutendo. Il signore gesticolava brandendo in aria il polsino di Annibaldi. Scomparvero alla svolta.
Ercole Patti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 11.05.32

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Citazione: Ercole Patti, “I polsini inamidati,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 23 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/481.