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Titolo: Scrittori e artisti che si confessono

Autore: Ugo Betti, Salvatore Quasimodo, Francesco Chiesa

Data: 1933-01-04

Identificatore: 1933_54

Testo: Scrittori e artisti che si confessano
Qual è il momento più importante o quello che più volentieri ricordate della vostra vita artistica?
Un momento importante: la prima volta che vidi, con sorpresa, in un ritaglio, una mia cosa tradotta: una poesia, uscita in un giornale moravo. Caratteri indecifrabili, non era più la mia poesia. Quello che io avevo scritto era diventato un’altra cosa, su cui io non avevo più alcun potere; andava pel mondo per Suo conto, rimbalzando da uomo a uomo, svegliando echi da me non preveduti, forse facendo anche qualche cosa di male. In quel momento probabilmente ho capito che cosa vuol dire scrivere.
Ugo Betti.
Alla fine del ’29, di ritorno da uno dei miei velocissimi, solitari viaggi nella Venezia Giulia, scendendo a Firenze in una mattinata sotto zero, decisi di finirla con la poesia. Testa o croce. Avevo ripreso a scrivere da qualche mese, dopo una vasta interruzione, e i nuovi contatti con le sillabe mi ridavano i timori d'un tempo. Tutta la tristezza accumulata nei precedenti anni di vita saliva oscuramente dalla memoria a vendicarsi del male fisico, della aridità interiore. Di quella aridità, proprio, che più tardi qualche critico avrebbe trovata intenzionale, volontaria; quasi che sia possibile « contemplare » ancora nel momento della intuizione artistica senza cadere nel dettato o nella eloquenza.
Entrai, dunque, alle « Giubbe rosse » verso sera con un nome che doveva sembrare ai più, per certo tempo, la finzione generosa di qualcuno del clan solariano in vena di voler riaprire una stagione letteraria che già s’indovinava ferma e circoscritta. Naturalmente invece di parlare ascoltai, e c’erano intorno a me Montale, Loria, Vittorini, Bonsanti, Carocci e qualche altro. Nella discussione i miei propositi decisivi venivano lentamente mortificati da richiami, in apparenza pigri, a nomi illustri nelle letterature europee. Ma prima di riprendere il mio viaggio col treno della notte, lasciai a Firenze due o tre liriche, senza più speranza.
La mia attesa durò fino al marzo dell’anno successivo; fino al giorno, cioè, in cui sulla copertina (colore giallo pallido) di « Solaria » lessi il mio nome nel grossi caratteri del sommario. Gioia di un’ora, ma autentica: la sola.
Salvatore Quasimodo.
Quale il momento più importante della mia vita letteraria, non so; nè alcuno potrebbe dire. Tutto è egualmente importante nella storia d’un uomo: tanto l’idea originale e feconda che un giorno mi venne, quanto aver seguito, quel giorno, il marciapiede di destra e non quello di sinistra. Infatti sul marciapiede di destra c’era una buccia d’arancio, sulla quale scivolai, caddi e dall’urto in terra della mia fronte nacque nel mio cervello quell’idea.
Il mio ricordo migliore? Certe giornate di lavoro fervido e convinto. E anche (benchè gioia d’un genere meno alto) la soddisfazione provata quando mi riuscì, una o due volte, di far qualche cosa che usciva dalle previsioni dei miei critici, dai limiti imposti alle mie possibilità, dalla definizione, magari lusinghiera, in cui mi avevano conchiuso.
Francesco Chiesa.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 04.01.33

Citazione: Ugo Betti, Salvatore Quasimodo e Francesco Chiesa, “Scrittori e artisti che si confessono,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/864.