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Titolo: Il dono

Autore: Corrado Govoni

Data: 1933-01-11

Identificatore: 1933_68

Testo: Il dono
Sulla siepe nessuno aveva sciorinato il corredo di pizzi d’angelo del biancospino
e ancora nel suo guscio di pulcino dormiva il primo tuon di marzo, quand’io mi misi, fanciullino scalzo, nell’intrico del fosso felpato, dopo ch’ebbi fiutato nell’aria l’odore della primavera acerba e mi armai d’un legnetto scorzato con i denti, per andar tra le foglie morte e l’erba a caccia di serpenti.
Andavo così assorto
nei miei paradisiaci affari, che non m’ero nemmeno accorto
d’un piccolo uccellino
Che mi veniva dietro
saltellando a piè pari, come se lo tirassi con lo spago.
Portava un aspri rosso sul capino, e aveva il becco fine come un ago.
Era un uccellettino così niente che a nutrirlo bastava una stilla di rugiada raccolta senza pungersi sulle spine acute, con un semino col paracadute.
Pareva uno di quei lanicci con cui il vento ruzza sotto il letto disfatto come un magico gatto.
Era così meschino
ch’io non avrei sciupato una pagliuzza di saggina e una lagrima di vischio per posseder quel triste fischio.
E dove l’avrei messo in gabbia?
Una rocca di tre griselle
per lui sarebbe stata troppo grande.
Quasi mi fece rabbia.
Solo perché veniva sui miei passi mi fermai; e bastò che lo fissassi.
Mi dissei — Prendi il mio fischietto, si suona solo col respiro.
Con esso suonerai i monti e suonerai le nuvole del cielo e suonerai l’eterno giro delle stagioni; suonerai il mare, e quando sarai stanco di suonare come feci io, tu suonerai la morte e Dio.
E’ un fischiettino d'aria con quattro o cinque buchi simili a quelli che fa il tarlo: suona solo a guardarlo; lungo la prateria solitaria feci mangiar con esso i bruchi, — lo mi guardai intorno scontento:
non c’era che il ronzio del mezzogiorno.
Svanì improvviso
come un angelo e il vento.
Ravvolsi quel fischietto in uno scoglio.
Ora, mi dissi, suono quel che voglio. Strappai un pugno d’erbe più verdi della giada, e ne feci il mio ingenuo innario in chiave di rugiada.
Poi presi tra le labbra con un bacio quel parlante confetto.
E fu così che da quel giorno soffio l'anima nel fischietto: a forza di fischiare mi son rotto una vena nel petto.
Suono la terra e suono il mare mentre vado attorno, e poi suono l’amore e la morte.
Ma chi m’ode?
Solo il vento ne gode: balza furioso su dal mio suonare, mentre passano i monti e trema il mare. Trascina sulla via le foglie morte, e quando è stanco di danzare, le ammucchia come cenci sulle porte.
Se ho taciuto un momento, o così a lungo che sembravo spento, mi ripresi e sbucai improvviso come da un loro aereo paradiso un angelo o il vento.
Così suonai le rondini sui fili del telegrafo come una chitarra spagnola a bandoliera degli sbrendoli del curvo vagabondo a cavallo del mondo, e la pioggia che viene giù a barili.
Ho suonato i pastori e i mendicanti e ho suonato le coppie degli amanti che lavorano zitti tra gli spini come a marzo ai lor nidi gli uccellini.
Ho suonato le nubi e la malizia del cuculo che burla la ragazza che conta con il cuore quanto avrà ancora da aspettar marito, ed or che il damo la trascura e ciurla, di ciò dal cucco spera aver notizia che, tra sognarsi sposa e far l’amore, sorridendo e piangendo ha già smarrito. Ho suonato l’amore e la morte, ed ho suonato forte il benvenuto e più piano l'addio, poi ho suonato Dio.
A forza di soffiare nel fischietto mi s'è rotta una vena nel petto.
Suono sempre; ma suono ancor più piano: suonando, copro il flauto con la mano. Perché col tempo è diventato tanto sensibile che basta un passeggero cruccio o un lamento fatto anche in pensiero, per riempirlo di pianto.
Se più non m’ode il vento antico, mi sente l’anima e un amico.
Corrado Govoni.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 11.01.33

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Citazione: Corrado Govoni, “Il dono,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/878.