Auro d’Alba (dettagli)
Titolo: Auro d’Alba
Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)
Data: 1933-02-22
Identificatore: 1933_131
Testo:
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Auro d'Alba
Una citazione d'Orazio, « vivitur parvo bene », ecc., dall'ode XVI del libro II, vuol suggerire che già prima e all'infuori di Cristo « l’uomo sente che la sua felicità e nel saper essere contento di poco, nel restringere e non nell'allargare le redini ai desideri ». Auro d’Alba l'ha messa in testa al volume recente (La tortura della Grazia - ed. del Sindacato Italiano d'Arti Grafiche, Roma) nel quale ha raccolto i colloqui con se stesso sui grandi temi della morte, della vanità delle cose umane, della giustizia e misericordia e della preghiera che al poeta ispirano la solitudine nel dolore e la meditazione. Il dolore che riconduce a Dio (« Grazie, Signore, che mi fai patire » è un altro motto del libro) dopo aver ripercorso in una drammatica sintesi le tappe della vita passata e averne tirate le somme. Saggezza antica quella suggerita da Orazio, ma impari comunque ad apprestare all’uomo le armi d'una difesa positiva contro i colpi mortali del destino, a salvarlo dall'abisso della disperazione. Solo la fede cristiana può offrire un rifugio, soccorrere con le sue eterne certezze, disporre a quella rassegnata accettazione che è il crisma d’una milizia eroica sotto le cui bandiere l'uomo camminerà sino alla fine dei suoi giorni. De contemptu mundi. De vita solitaria, i precedenti dei « colloqui » sulla fede e sulla grazia, sulla vita e sulla morte, sulla carne e sullo spirito, sono illustri ed evocano immagini di classica serenità dopo le acquetate tempeste: ma dietro il tono pacato del libro di colui che fu il poeta di « Lumi d’argento » senti la presenza e l'urgenza della crisi e del dramma. Nella affettuosa prefazione, Guido Manacorda ne coglie nobilmente alcuni aspetti e caratteri per concludere a una riaffermata certezza di vittoria in nome di immortali virtù, le sole che possano trasformare l’uomo in un guerriero disposto a battersi contro le forze del disordine interiore. « La folgore colpisce solo le cime. Dio ti ha segnato e eletto ». Allora, bisogna saper essere pronti ad ogni chiamata. I dieci colloqui di Auro d'Alba sono la preparazione a questo sacerdozio, praticato secondo la massima che per morir bene bisogna vivere bene, cioè vivere ordinatamente. Perchè l’idea della dipartita non si accompagni in noi a immagini di terrore, bisogna prima prendere confidenza con la virtù, l'ordine, la gerarchla, la disciplina, imporsi una regola di vita morale: verrà poi la confidenza con la morte, l’acquistata. pace con sè, la capacità d'adeguarsi alle norme di quella tavola della legge ch’è il sermone della montagna. Alla fine Alessio, il protagonista dei colloqui, comprende. Comprende « che per salvare lo spirito bisognava agitar la materia; che per non essere indotto in tentazione occorreva darsi una ragione immanente di vita e seguire l'uomo, il Cavaliere dei Cavalieri, lavorando con lui giorno e notte a porgergli creta per modellare il volto divino ».
Qui la crisi si risolve nell’azione, il mistico non rinuncia alla sua posizione di lotta. Auro d’Alba, con l’intuito dei poeti, interpreta il dramma morale e storico della nostra generazione apportando alle conclusioni il contributo della sua sofferenza e della sua umanità. Il suo libro è un breviario al quale ognuno di noi può attingere qualche verità. « Solo i Santi avevano trovato pane e ristoro nella meditazione; al deboli, com’egli si sentiva, occorreva stordirsi nella passione per un'idea bella e pura, in una fede terrena, insomma, per ritrovarsi un giorno degno della fede divina ». Questo libro « religioso » di Auro d’Alba esce dopo il morso atroce d’una sventura, ma era già pronto in bozze prima che essa s’abbattesse sulla casa del poeta. E’ un libro di presagio.
Collezione: Diorama 22.02.33
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Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Auro d’Alba,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/941.