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Titolo: I sedani

Autore: Adriano Grego

Data: 1933-03-01

Identificatore: 1933_139

Testo: I sedani
La donna entrò nella sala del ristorante, si volse verso un cliente abituale con uno dei suoi soliti facili sorrisi, fece un cenno amichevole a un cameriere, disse « ciao » al fratello che troneggiava sul sediolo alto della cassa, e si sedette al tavolo. Allora mi parve sfasciata del tutto. Il tricorno, la pelliccia, i guanti neri, la borsa che dovevano pesarle come i vestiti di gala dopo la festa. E poi, il viso: due grandi rughe incise che le scarnivano la mandibola, e sullo scheletro miserevole bozzi di carne, di pelle, venata di vermigliò. Anche il collo faceva pena. Due cordoni legnosi lo solcavano e avevano dei moti incessanti, convulsi, un salire e discendere affannoso, come nella ghiacciaia vicina le anguille e le sardine boccheggianti.
— Novità? — le chiese il fratello a Voce alta, con una cadenza cordiale.
Allora la donna si risvegliò:
— Ho parlato col commendatore.
— Ebbene, ebbene?
Intervenne un commensale che mangiava poco discosto:
— Questa volta si canta?
— Certo — rispose la donna. E subito, come fosse stata richiamata « un segreto dovere, s’accese d'allegria. Inarcò un poco le spalle, s’agghindò con una mano i capelli biondastri incappucciati all’antica dietro la nuca e canticchiò in estasi: « È venuto... è venuto il bel capitano... ». Il motivo per un profano era senza chiusura: un assaggio, appena, appena un gioco di note, ma alla donna bastava non so se a provare la sua bravura o la sua evidente serenità.
Poi chiamò il cameriere:
— Stefano, un po’ di minestrone. Ma poco poco. Un fondo di scodella.
Il cameriere ebbe un atteggiamento curioso. Avanzò di due passi verso la cucina, poi si voltò all’improvviso. Allora, dietro le spalle della donna, fece al padrone un segno, un segno da niente, come a chiedere ordini.
Il padrone dall’alto della cassa picchiò col palmo aperto della mano un colpo sul suo registro.
— Non hai sentito? — gridò al cameriere. — Minestrone alla signora. Un bel piatto: cosi.
Ma subito sì penti di quella sua voce troppo forte, di quel suo gesto iracondo con cui aveva accompagnato la frase. Allora si voltò verso il cliente di prima. Sapeva trattare coi clienti del locale, il padrone:
— E così, e cosi? Quando lo bagniamo quel vestito nuovo?
* * *
La storia di quella gente me la raccontarono poi un poco per volta i camerieri. E come su quella sciagurata pendesse l’incubo d’uno sfratto improvviso e come il fratello e la cognata le contassero ad uno ad uno i bocconi che mangiava a mezzogiorno e alla sera, i bocconi che mangiava senza rumore con quella sua aria di spaurita umiltà. « Poco poco... appena un fondo di scodella... ».
— I primi tempi? I primi tempi era un’altra cosa — mi raccontò Stefano — perché la signorina veniva dall’America e aveva in tasca una scrittura come seconda donna al teatro Lirico. Allora quella canaglia del padrone pensava che sua sorella era un richiamo per il locale e non badava alle spese. Fegatini? Fegatini speciali per la signora. Cervello? Cervello fritto coll’olio speciale. Tutto cosi. Le stava intorno come a una regina. E guai se la padrona non la trattava bene anche lei. Alle una di notte cena fredda con vinetti di bottiglia. Vecchio indegno, sa... Mi creda a me che lo conosco da diciott’anni. Allora la signorina non era come adesso, col mento a tre girate, la pelliccia che mostra l’osso come le scimmie quando si curvano... allora era una donna coi fiocchi... rideva, cantava... tutti intorno, i clienti, a farle la ruota. E poi, chissà il padrone che cosa aspettava da lei. Che diventasse un fenomeno da milioni, forse, oppure che si sposasse con uno di quelli d’America... Già, me ne dimenticavo; perché allora si diceva che la signorina doveva sposare uno di laggiù, ricco, straricco da chiudere la bocca a tutti. Faceva vedere una fotografia anche, davanti alla sua villa. Me la ricordo sempre: una fotografia con tre cani vicini... Si sposa? Non si sposa? Intanto però cantava e il padrone non aveva fiato che per la sua sorella. Qui dentro s'era diventati tutti competentoni. E la Loreley e la Fanciulla e l’Africana... Anche quel bestione del cuoco andava a teatro a gratis.
— Quanti anni fa, questo?
— Mah! Saranno sette anni, otto anni forse. È difficile ricordarsi bene perché si lavora tutti i giorni nello stesso modo e non c’è mai una novità a pagarla un milione. Mi capisce? Tutto, a poco per volta. Solo che un giorno uno guarda la signorina e dice: «Però invecchia anche lei». Un altro giorno si dice: «Quella figliola era più bella l’anno scorso ». Capisce? Poi, ecco fatto: tutti quanti si parla come se fosse sempre stato così. E gli uomini non la guardano più.
— E il fratello?
— Eccolo: quello è il vero cialtrone. Saranno due anni che le sta addosso cogli occhi. Un anno ha perduto la scrittura, la signorina, ed è stata senza lavoro. Pazienza! Si dice che un altr’anno — se viene a dirigere il commendatore — avrà una parte da cinquecento lire al giorno. Aspetta, aspetta, il commendatore era diventato una favola. Inviti a pranzo anche a lui: sciampagna, aleatico, vin di Sardegna, liquori... Festa al ristorante: anche noi che abbiamo le nostre gatte da pelare si fa finta d’esser contenti.
Poi, magari, si è contenti davvero per quella poveraccia che sì, insomma, lo si vede tutti, che perde il pelo. Dunque, gran festa. Il commendatore viene lui a dirigere la stagione. Questa volta ci siamo! dicono. Ma io lo dicevo sempre: quello, con quella faccia da gnocco contento, vedrete che scherzi. E infatti... ecco 11: dà una particina alla signorina, che sta di mezzo fra il pompiere e la corista.
— E allora, apriti cielo!
— Proprio cosi. Da quel giorno il fratello, quel tanghero del fratello è diventato una iena. Lui e sua moglie, tutti e due. A ogni stagione, all’apertura del teatro, incomincia la solfa. Lui lo sa naturalmente che è sfiatata come una vecchia fisarmonica, che la scrittura non la può più avere decente, che tutto quello che le daranno saranno trenta lire al giorno per cinque mesi... Lui lo sa... ma ci prova gusto lo stesso a tormentarla. « Hai visto il commendatore? ». « Quest’anno scommetto che fai la « Loreley ». « Di’, ma non era tanto tuo amico il commendatore? ».
« E poi, quando sono soli, vorrei che sentisse, il tanghero, come parla. « Sono dieci anni che ti siedi a
questo tavolo! ». « Va là, che l’hai fatta bene la commedia dell’americano! ». E poi, ordini in cucina, ordini, se sapesse, da tirargli il mestolo sul grugno. Vuole che le si dia da mangiare quello che vuole lui. I sedani, per esempio. I sedani che la signorina non li può vedere... ».
* * *
Ora, da qualche giorno provo gusto nel guardare quella gente. La signorina che soffre come soffrono tanti, impantanati nella miseria; il tanghero avido che le misura i bocconi trangugiati.
Non è difficile capire gli uomini, in fondo, né le leggi che regolano la cattiveria: come i visceri del padrone si torcano nel veder divorate le sue vivande da quella bocca floscia; come il padrone confronti la rettitudine della propria vita, con il disordine di quella di lei. Ed egli la chiama scostumata: in fondo anche la sordità del suo cuore, dopo tant’anni di vita, è umana.
Non è difficile capire gli uomini. Più difficile capire il senso delle cose. Capire perché i sedani si trasformino nelle mani di Dio in uno strumento di castigo.
Adriano Grego.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 01.03.33

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Citazione: Adriano Grego, “I sedani,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/949.