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Titolo: Libro italiano e psicologia della stirpe

Autore: Nicola Pende

Data: 1933-05-24

Identificatore: 1933_255

Testo: Libro italiano
e psicologia della stirpe
Non parrà troppo irriverente, io spero, ai molti artisti e letterati che oggi vanta l’Italia e che sono in grado di giudicare dall’alto, se un cultore di cose mediche, né artista né letterato, ardisce, per puro amor di Patria, di scrivere sul libro italiano. Valga a lui, come ragione di indulgenza, il fatto del lungo studio e del grande amore che egli dà alle indagini per la conoscenza della superficie e della profondità così del corpo come dell’anima umana: studio della personalità umana individuale che, se fatto con metodo scientifico, ma né con freddo razionalismo soltanto né solo con atteggiamento artistico od intuitivo, bensì con l’uno e l’altro insieme, è capace di gittare forse una luce nuova sull’essenza intima, sul significato ideale del libro come di qualunque altra opera d’arte, e sulle mète nuove che, in questo momento del nostro divenire nazionale, deve proporsi il libro nostro.
Ed è su questo principio, più volte adombrato ma forse non mai discusso ampiamente in molti scritti di critica estetica, di storia letteraria e di filosofia dell’arte, che io intendo prendere brevemente la parola. Il punto di vista che credo utile soprattutto di illustrare è il significato ideale del libro come espressione cosciente delle potenze creatrici delle stirpi che compongono un dato popolo, e del nostro in modo particolare.
Io credo dover partire dal principio che in ogni libro che sia lavoro vero di creazione artistica (lo stesso vale per le arti figurative e per la musica) si può, se si sa guardare, scorgere sempre una triplice espressione di verità, verità che è intuita dall’artista per divinazione e non scoperta per via di logica o di analisi scientifica, ma che non è, come potrebbe dedursi da certe teorie estetiche sorpassate, per le quali l’arte è alogica in confronto della scienza che è logica, meno logica verità che il lavoro di creazione dello scienziato: ha significato e valore spirituale il vero artistico come il vero scientifico, soltanto che l’uno è creato nella febbre divinatrice del sentimento estetico, l’altro col meccanismo dell’analisi e del ragionamento scientifico obbiettivo (quest’ultimo neppur sempre, come si crede, libero da un bagno sentimentale).
Dunque nel libro d’arte la triplice verità tradotta ed espressa dall’artista — e la maniera di espressione o forma varia, come è noto, anch’essa in modo indissolubile dal contenuto ideale dell’opera — è rappresentata: e dalla sfera psichica profonda sub-cosciente individuale dell’artista, e dall’anima profonda collettiva della stirpe da cui l’artista emana e che nell’artista si trasfonde, e dallo spirito del mondo e dell’umanità tutta in quel dato periodo del suo divenire.
Palpito profondo individuale dell’artista, palpito dell’anima collettiva di tutto un popolo, palpito universale dell’umanità nella sua fase storica: ecco il triplice significato ideale, il triplice mistero di ogni libro e di ogni opera d’arte vera, che il critico ed il pubblico possono e devono indagare e giudicare, e che riguarda al tempo stesso — si badi bene — e forma e contenuto. E tanto più grande per noi sarà l’opera d’arte quanto più compiutamente, più spontaneamente, più creativamente nasce e viene espressa dall’artista questa triplice verità spirituale racchiusa nella sua opera. Ma solo il genio vero è capace di sintetizzare in sé ed esprimere con la massima spontaneità ed efficacia sé ed il mondo, cioè non solo gli istinti, i sentimenti, i pensieri che agitano la sua anima, ma gli istinti, i sentimenti, i pensieri che formano la struttura psichica della stirpe che esso genio abbraccia e rappresenta, e l’ànima tutta dell’umanità, con cui l’anima dell’artista è capace di comunicare.
Secondo tale concetto, il vero genio non è mai soltanto individuale, ma individuale ed universale insieme, ed esso porta impresso sempre sulla fronte, come marchio divino, il marchio dello spirito della stirpe che incarna ed esprime.
Ecco perché nel libro italiano noi possiamo e dobbiamo sempre innanzitutto guardare noi stessi, come popolo, come unità spirituale di stirpi diverse, ognuna ricca di una plurimillenaria civiltà, noi stessi nella potenza creatrice passata del nostro spirito, noi stessi soprattutto nella potenza creatrice per l’avvenire.
Ma è qui che comincia la penetrazione del biologo psicologo nel dominio dell’arte e della letteratura: quando si tratta di fissare che cosa noi intendiamo per anima di un individuo e di una stirpe.
Qui io credo esporre brevemente quella che io chiamerei la teoria psicologica del quadrilatero dell’anima.
Il nostro spirito, pur essendo sempre uno ed indivisibile, come giustamente sostiene lo spiritualismo gentiliano, può tuttavia considerarsi come agente continuamente in quattro direzioni, e sgorgante, nelle sue manifestazioni, da quattro sorgenti, che sono come i quattro occhi della nostra anima: e cioè l’occhio dell’istinto — fatale necessità fisiologica della vita animale ed umana —; l’occhio del sentimento, cioè degli istinti egoistici ed altruistici, sublimizzati ed umanizzati dalla evoluzione umana al disopra della pura animalità; l’occhio della ragione pratica, realistica, concreta, obbiettiva, che parte dall’osservazione dei sensi e dai relativi concetti; l’occhio infine del pensiero astratto, della logica teoretica, della metafisica. In ognuno di noi, in qualunque momento della nostra attività spirituale, questi quattro strumenti dell’anima lavorano, quando con armonia, e quando, e più di sovente, con disarmonia, cioè ora più con il predominio dell’istinto sul sentimento, ora più del sentimento sulla logica realistica, ora più della logica astratta e dell’idealismo aprioristico sull’istinto o sulla logica concreta e pratica. Ed è così che, in natura, lo studio tipologico o caratterologico dei vari individui, come noi lo facciamo, ci permette distinguere spiriti prevalentemente istintivi, spiriti prevalentemente sentimentali (i cosidetti romantici), spiriti realistici e pratici, spiriti teoretici o metafisici. E generalmente si constata che istintività e logica pratica o realistica si associano nello stesso tipo psicologico, come si associano volentieri sentimentalismo ed idealismo, più raramente realismo ed idealismo. Orbene se noi applichiamo all’opera d’arte, al libro per esempio, questi concetti, ecco balzar fuori dall’analisi critica, psicologica, storica delle varie opere della poesia e della letteratura una varietà netta di tipi d’espressione spirituale, che mettono a nudo ora più l’anima profonda e particolare dell’artista, ora più l’anima collettiva di tutto un popolo. E noi sappiamo che in certe epoche della storia dell’arte e della letteratura ha dominato l’istintivismo, detto pure primitivismo, in altre l’atteggiamento sentimentale o romantico, in altre il realismo o verismo od obbiettivismo, in altre il razionalismo e l’idealismo metafisico. Ma soprattutto questi quattro lati dello spirito umano sono diversamente tradotti ed espressi dagli artisti più rappresentativi delle varie razze umane civili, come sono un Shakespeare per la razza nordica, un Goethe per i Germani, un Dante per gli Italiani: o delle varie regioni di uno stesso popolo, a seconda del predominio in tali regioni dell’uno o dell'altro elemento etnico. Cosi tutta la storia del libro italiano sta lì a dimostrare non solo una successione di fasi alterne di istintivismo veristico e di romanticismo idealistico, ma la possibile coesistenza e contemporaneità, nelle varie regioni della penisola, di tipi diversi, regionali di creazione artistica dal punto di vista che stiamo trattando.
E come ben dice Camillo Pellizzi, è bene che sia cosi: nessun’altra nazione come la nostra ha tanti tesori diversi dovuti al genio di stirpi diverse, alle quali si devono quelle quattro civiltà, forse cinque con quella nuova che stiamo oggi creando, che Pasquale Villari dice esser vanto soltanto della storia del popolo italiano nel mondo.
E nessun libro nostro quanto il libro di Dante dimostra maggiormente la potenza creatrice poliedrica del genio poetico italico così nella sfera dell’arte che ha le sue radici nella vita dell’istinto come in quella del cuore ed in quella del pensiero astratto. E Paul Valéry, che oggi riabilita la poesia come capace di tradurre ed esprimere anche i concetti del più astratto e più razionale, deve riconoscere in Dante il modello più grande di tale poesia fatta strumento di espressione unitaria e completa di tutti i lati dello spirito umano.
Sull’esempio dell’arte dantesca, deve d’ora innanzi l’arte italiana sapere interpretare e tradurre il genio delle nostre stirpi, ed elevarsi dalla unilaterale e frammentaria espressione di una tendenza dell’anima o peggio della fisiologia individuale dell’artista, alla sintesi spirituale, completa, ed alla espressione poetica dell’anima collettiva della patria nostra, come nazione e come unità di valori psicologici derivanti dalle stirpi gloriose che la compongono. Restino pure in Italia e siano rispettate dall’arte — e non è possibile che sia diversamente — le anime regionali: ma che gli artisti italiani sentano che tanto più grande e più eterna sarà l’opera loro, quanta più umanità essa sarà capace di far palpitare, e soprattutto quanto più riescirà a far sentire negli uomini la potenza dello spirito dell’uomo individuo quando è in comunione perfetta con lo spirito di Dio e con quello della patria.
Nicola Pende.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 24.05.33

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Citazione: Nicola Pende, “Libro italiano e psicologia della stirpe,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1065.