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Titolo: Un giovanotto che non riesce

Autore: Ugo Betti

Data: 1931-08-05

Identificatore: 107

Testo: Un giovanotto che non riesce

— Ecco qua il nostro Martino. Bravo il nostro Martino. Sempre pieno di cause, questo assassino di Martino.

Martino sorride e arrossisce, battendo un po’ le ciglia. Si sente sbarbato di fresco, con sotto il braccio il portafascicoli nuovo, è quasi orgoglioso che i colleghi lo canzonino bonariamente. Sorride con riconoscenza ma non senza una certa timidezza, perché nelle parole dei colleghi sente anche un tantino di compatimento, appena appena; e questo lo fa stare un poco in apprensione, come gli succede sempre quando si trova in compagnia. Lo chiamano Martino, invece di Martini, non si sa bene perché.

Martino, mentre il gruppo degli avvocati si avvia, cercherebbe anche lui di buttar là qualche parola sensata; ma raramente gli capita di ottenere attenzione. Succede quasi sempre che qualcuno, nella foga del discorrere, si metta a camminare davanti a Martino, questi deve cedere il posto, finché un po’ amareggiato si ritrova in coda, accanto a Giara, un avvocato anziano dai polsini sfrangiati e dal sorriso umile, col fiato che sa di vino.

Martino, quando gli capita qualche causa, ha sempre l’impressione che i cancellieri, gli uscieri (e magari anche i giudici) gli usino degli sgarbi, delle parzialità; che fingano di non sentirlo, oppure gli rispondano facendo i sarcastici, i superiori. Quésto a Martino dispiace, specie per via dei colleghi; si volta verso di essi, abbozzando un sorriso sfiduciato, come per chiamarli testimoni che lui si trattiene e inghiotte soltanto per riguardo, anzi per educazione.

— Sta calmo, Martino! Martino, non te ne prendere!

Loro ci si divertono. Qualche volta gli nascondono i fascicoli, oppure gli scompigliano le carte, lo fanno impazzire a cercare sotto i tavoli. Non lo fanno per malanimo, questo no. Ma poi come si fa, a ragionare con calma, a farsi valere?

— Sieda pure, avvocato — gli dice il giudice quasi brusco, spazientito di vederlo in piedi, ora qua. ora là, con quell’aria di uno che capisce di disturbare e cerca di farsi piccolo piccolo, e perciò finisce per dare ancora più fastidio.

Martino, rosso, fa capire che non c’è la sua sedia. Ride, come se la cosa divertisse lui pure; ma incomincia a sentirsi un’oppressione dentro. Quando manca una sedia, chi finisce per restare in piedi? Martino. Si sente goffo, non sa che atteggiamento prendere, benché, per fortuna, nessuno lo guardi; fa con le mani, senza volere, dei mezzi gesti inutili, come imbarazzato d’averle, le mani, passandosele ogni tanto sui capelli, che non sono affatto scomposti. Dipenderà magari dal vestito, che è meschino, sformato. Con un improvviso batticuore, Martino guarda le scarpe di Giara, polverose, scalcagnate; le spalle curve, sporche di forfora. No, no, che diamine! C’è una bella differenza.

Dicono che anche Giara, una volta, non fosse mica uno stupido. Ma poi, come succede? Come in certe covate di pulcini, a un dato momento ce n’è sempre qualcuno che resta indietro nel crescere, si avvilisce, diventa brutto, sporco, trascurato persino dalla chioccia, finché lo ritrovano dietro qualche uscio, con le. zampine all'aria, freddo.

— Parli pure, avvocato.

Quando Martino parla, c’è sempre qualche collega che si mette a guardarlo fisso, di sotto in su, con occhi maliziosi, come per aspettare che gli esca di bocca qualche corbelleria proprio divertente. Martino principia quasi sempre benino, magari con qualche frase preparata, e con un tono anche troppo grave, ponderato, che ben presto però comincia a tentennare. I periodi prendono ad aggrovigliarsi, non sempre riescono a rimettere i piedi a terra. Qualche parola ridicola, che gli si infila a tradimento nel discorso, finisce per intimidirlo. Poi le idee cominciano a sfuggirgli, non riesce più che ad afferrarne qualche lembo annaspando confusamente, si perde d’animo, ripete due o tre volte la stessa frase, si rimette a sedere asciugandosi la fronte chiazzata di rosso. Ha finito.

— Era una questione difficile — sussurra, scrutando le faccie degli altri con occhi supplichevoli.

— Te la sei cavata benone dicono i colleghi. Il cliente gli butta là qualche parola ruvida. Martino si guarda intorno pallido, tentando di sorridere.

— Lo sai, Martino — gli fa poi per la strada Verde, suo vecchio compagno, ora avvocato in voga, —lo sai come dovresti fare?

Con tono condiscendente gli spiega che dovrebbe fare cosi, e poi così, che diamine.

— Ciao, Verde — fa Martino d’un tratto, ad occhi bassi. Dice che deve andare, si è ricordato un impegno. Sente di odiarlo. Sente di odiare tutti.

*

E’ solo, ed ecco lo invade una grande ambascia. Avviene un fenomeno curioso: pare che ci siano due Martini, uno ripete monotamente con tetra indifferenza che Martino è un disgraziato; che anche gli uscieri ridevano, ora; che è inutile illudersi, eccolo là, si parla proprio di lui, di quell’ometto meschino, mezzo pelato, che passa nelle vetrine. C’è un altro Martino, intanto, che legge le parole dei manifesti, ripetendole poi con la stupefazione dei sogni, guarda la merce dei carrettini, si sforza di cogliere le scritte, degli autobus, canterella, come in un gioco allucinato: grandi ribassi... fermata... fermata obbligatoria...

Certo, è un poco malato, dovrebbe fare una cura. Ma il bello è questo: come va la cosa? Sono i pensieri a rovinare i nervi, oppure i nervi i pensieri? E’ sempre il caso del pulcino, in sostanza.

Intanto va, col fiume dei passanti, non senza una certa compiacenza di codesto sentirsi infelice, degno di compassione. Pensa con occhi umidi ai vecchietti che passano la giornata sulle panchine. Si ferma a sentire i venditori ambulanti con la valigia aperta piena di sveglie, sta lungamente davanti ai carretti di libri vecchi leggendo i titoli, entra a sentire le aste, palpando le sete antiche, le pendole dorate, i tappeti color foglia secca, provando quasi un curioso piacere nel ripetersi che lui non può mica acquistarla, quella roba lì, lui è povero, lui è un povero diavolo con l’abito a borse, malato, mancato, Si compiace a figurarsi che codesti signori così ben vestiti e robusti possano scambiarlo per uno di quei poveracci mal nutriti che vanno in giro per buscarsi un quattrino; che possano dirgli: « Ohé, voi, portateci a casa codesta roba ». Lui non direbbe mica di no, anzi sarebbe contento di piegare le spalle, d’esser trattato male.

Intanto si fa buio, entra in una chiesa, dove la voce nasale d’un prete, che risuona in fondo, fra rade candele ed ombre di donne vestite di nero, lo culla, lo fa pensare a Dio, quasi lo assopisce in nuove fantasticherie puerili. Immagina per esempio, ma quasi divertito, che lui potrebbe mettersi li, fra l’antiporta che cigola e la porta, dove c’è cosi scuro, e lì chiedere l’elemosina a mani tese, con gli occhi chiusi come i ciechi. Quando esce, passando accanto alla musica d’un caffè, quel tintinnio di cucchiaini, quei grandi paralumi rosa a lunghe frange, lo consolano, quasi lo rallegrano. Riflette che dev’essere tardi, ed appena fatto questo pensiero s’accorge d’avere appetito; e subito si ricorda che a cena dovrà esserci pesce in salsa gialla; la bocca gli si empie di saliva.

— Era una causa difficile, non posso lamentarmi — spiega cordialmente Martino, dopo cena, alla serva anziana che s’informa. La mamma raccoglie le briciole, curvando sulla tovaglia illuminata il suo volto spento, da sorda. Martino, allungato sulla seggiola, còl panciotto sbottonato, apre il giornale.

Poi a letto, fra le lenzuola fresche, pensa sbadigliando che la causa era davvero difficile; poi, che il pesce in salsa gialla è un po’ pesante, non si può negare; che una volta lui, Martino, ha pensato di ammazzarsi, coli gas, e perché poi?; che gli inquilini del piano di sopra non si sentono affatto... si, non si sentono affatto... saranno forse... forse a teatro. Larghe lacune nere si aprono fra i suoi pensieri. Tutto è indifferente, tutto è uguale. S’addormenta.

Ugo Betti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 05.08.31

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Citazione: Ugo Betti, “Un giovanotto che non riesce,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/107.