Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: I libri della settimana

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1933-06-14

Identificatore: 1933_286

Testo: I libri della settimana
La Ritornata
Hanno dato il premio Fusinato a Federico Dé Maria. Scadono appunto trent'anni dall'apparizione del suo primo libro di versi (Voci, 1903) che mise a rumore il campo letterario per quella che allora parve, ed era, audacia di novatore. Il premio è andato giusto al segno: ad uno scrittore che è rimasto da allora sulla breccia e ha intonato tutta la sua opera a una coerenza di pensieri e di forme altamente stimabile. Oggi il De Maria raccoglie in volume (La Ritornata, Istituto Editoriale Moderno, Catania, L. 5) molte poesie inedite insieme con altre ventitré scelte da canzonieri pubblicati successivamente alle Voci: e son proprio queste che dovrebbero avere, nelle intenzioni dell'autore, valore documentario, testimoniare cioè della posizione d'avanguardia volontariamente assunta dal De Maria in tempi nei quali non si ammetteva la rivolta contro i metri chiusi se non come atteggiamento polemico da condannarsi senz'altro in sede artistica. Il caso Orsini restò memorabile e fu inserito tra i capitoli della storia letteraria inizio di secolo come documento d’una volontà temeraria (era invece, in fondo, un atto di fede nelle forze vitali della tradizione). Naturalmente, oggi, l’eco di codeste discussioni e battaglie ha un sapore quasi arcaico e gli schieramenti bellicosi dei contendenti sembrano parate di soldatini di stagno. Il De Maria ha fatto benissimo a mettere insieme questa sua raccolta e a rivendicare le ragioni d'un primato che taluno dimentica di riconoscergli, ma dopo le quattro pagine di prefazione, giustificate dalle « ragioni storiche » per cui il' ibro si pubblica, è forse superfluo condurre il lettore attraverso i sentieri d’una « estetica nuova » che oggi non è più nuova affatto, tanto i suoi corollari sono acquisiti alla stessa mentalità borghese. Anche la successiva esegesi del metro libero rischia di apparire anacronistica sulle soglie d un libro dell’anno XI: tanto più che a documentare i propositi e gli ardimenti del poeta parlano assai più chiaro le sue poesie. Anche la questione della lingua e del suo perpetuo rinnovamento trova il campo spazzato da ogni sorta di obbiezioni; se mai si può dar atto al De Maria d'aver preannunciato la fine dei dialetti, non però come imbocco della via dell'internazionalizzazione delle lingue, ma come conquista della unità spirituale nella realizzata fusione delle regioni. Comunque, il De Maria ha le carte in regola e se oggi rivendica il suo posto nella storia della poesia italiana di questo trentennio, dobbiamo riconoscere che la documentazione non potrebb'essere più convincente anche se la polemica è superata. Ma poi, si diceva, le migliori « pezze d'appoggio » sono nelle poesie medesime, data, spirito, tono e metro; sono nella vivacità dei sentimenti e degli affetti e nella libertà dei movimenti: libertà di metro, cioè, precisa il De Maria, « libertà di strofe e di ritmi, adoperando versi secondo la sensibilità del poeta, ma facilmente riconoscibili nei loro numeri e nelle loro cadenze ». Metro libero, non verso libero: il De Maria sottolinea la differenza, e ci tiene. La dimostrazione della sua fedeltà al programma vien dopo, con la rassegna delle poesie, alcune delle quali, sono veramente piene di calore, tese verso l’avvenire, con una intensità che si risolve in un atto di fede nelle forze della vita e nella loro origine divina. Quando il De Maria riesce a introdurre nel suo mondo poetico codesto senso d'eterno allora egli è veramente artista. La naturale tendenza alla polemica lo distoglie spesso dalla strada maestra; ma la nota personale rimane e tende a prorompere. Un libro interessante anche per i futuri storici della letteratura. I quali dovranno tenere pur conto del commovente anelito del De Maria verso i profondi cieli poetici anche se un pessimismo al quale non aderiamo gli fa scrivere di non aver mai creduto e di non credere tanto meno oggi « quando impera il foot-ball, all’opportunità della poesia... ». Per noi resta vero il contrario.
F. De Maria

Allora
È un libro del nostro tempo. Non per la materia che vi è trattata, ma per l'atmosfera che vi è evocata, per l’aria che vi circola. In fondo questo nuovo romanzo di G. M. Sangiorgi (Allora - ed. Agnelli, Milano - L. 12) forma corpo coi precedente, 75 mm., ne è idealmente la continuazione. Romanzo di guerra, quello, d’un aspetto particolare della nostra guerra in quanto raccontava l'epopea dell'artiglierìa, ma poi romanzo del combattente senza distinzioni, guidato da una costante aspirazione a discernere, oltre la impressionante esteriontà, il vero volto della guerra, a scoprire l'anima dell'uomo non come un numero in un gregge ma come un individuo cosciente della propria personalità. Il nuovo romanzo continua spiritualmente il primo: lo stesso sentimento della esperienza bellica, lo stesso calore d’umanità, infine la stessa passione. Intesa non in un senso, sia pur nobile, d'esuberanza rettorica, ma in un senso di pienezza di vita e di abbandono fantastico che la traduce in poesia. Perchè qui si può a giusto diritto introdurre e risolvere là questione delle così delle « torri d'avorio »: e non si tratta di suggerir temi e di condizionare la libertà dell’artista, ma invece di richiamarlo ad una valutazione del proprio tempo e dei fenomeni sociali e politici che lo accompagnano che sia un esame di coscienza e una presa di posizione, dalla quale poi la sua scrittura potrà essere più o meno influenzata a seconda delle sue possibilità di assumere nel clima artistico i fatti che la realtà gli pone sotto gli occhi e di interpretarli nei loro significati universali. Fuori d’ogni equivoco, la denuncia delle torri, d'avorio è un richiamo alla sincerità, elementare dovere. Nel caso del Sangiorgi ci si può riportare a codesta polemica appunto per segnalare un esempio autorevole di evocazione del clima storico nostro senza che il meccanismo e la rettorica la inquinino. Il Sangiorgi ci ambienta fin dalle prime pagine in un'atmosfera tipica che l’esperienza diretta rende trasparente e avvicina, riportandola a tratti quasi sul piano della cronaca. Siamo, per intenderci, in periodo d'armistizio e in paese d'armistizio. Le truppe italiane, dopo tanti mesi di. guerra combattuta, balzano dalle trincee, lasciano indietro i morti, e vanno avanti. Dove sarebbero giunte è facile intuire. La storia aveva già segnalo le mète d’una vittoria così imponente. « Non vogliono che l'Italia vinca troppo. Gli alleati non ci lascieranno andare avanti ». Versaglia. Punto e a capo. Sopra un terreno di attesa, ecco che le esperienze individuali maturano e, fondendosi, caratterizzano un’epoca. O le avventure sentimentali di Paolo non sono allusive e simboliche? Non c’è in esse l’amaro di tutto il disordine che distinse, a guerra divampante e nel dopoguerra, i rapporti sessuali? Le frontiere morali erari state sovvertite, e nasceva il tipo della donna nuova, della ragazza spregiudicata che liquidava il proprio problerna personale nel modo più elementare ed istintivo con l’aria di ragionarci sopra. Nel romanzo, il Sangiorgi ha introdotto più d'una figura femminile ricca di sensualità e di fascino, ma quella di Giovanna si delinea fin dal primo momento con una compiutezza ammirabile. Le esperienze son varie e diverse. Si procede per 350 pagine in un clima arroventato, tra personaggi del dramma in atto che è quello della crisi spirituale e politica del dopoguerra. Il romanzo, e questa è la sua virtù, ci porta insensibilmente nel centro del dramma, ci cala dalle frontiere dove fu difesa la patria, contro il nemico dentro la terra dove, a guerra vinta, un altro nemico, quello di casa, attenta alla conquistata unità. La stirpe si ritrova e si difende.

G. M. Sangiorgi
Come l’albatro
Con questo titolo marino e baudelairiano (Ainsi que l'albatros - Ed. Plon) vara il suo secondo o terzo libro Filippo Barrès, figlio del grande scrittore la cui influenza sulla generazione d'anteguerra non è dimenticata nel senso costruttivo e gerarchico, anche se qualche attuale profeta del disordine, come Gide, si accanisce a revocarne in dubbio gli ideali e a distruggerne lo spirito. Rendiamo anche omaggio a Barrés, artista del quale si stanno pubblicando i Cahiers, panorama morale e psicologico della Terza Repubblica: il tempo della sua virilità pensosa resta consacrato nel classico ritratto di Jacques-Emile Bianche qui accanto riprodotto Quanto al figliol suo, Filippo, egli partì quasi ancor giovinetto per la guerra, fu ferito e decorato, e oggi è un uomo spiritualmente deluso. I molivi della sua delusione egli esaminò in un libro. La guerre à vingtans, pieno di sostanza umana, di coraggio e di emozione. Nel romanzo d'oggi Filippo Barrés racconta il primo amore d'un giovane reduce: lo racconta come lettore d'un manoscritto che un altro reduce gli mostra un giorno in treno. Vi è dentro la storia d'un terzo combattente, Rolando Limours, il quale s’incontra con una di quelle donne che vissero gli ultimi anni della guerra tra i piaceri falsi e gl'intrighi delle retrovie. La donna, pur essendo una creatura sincera, è naturalmente disposta ai compromessi con la vita, il reduce no, il reduce s'accanisce a difendere il suo sogno intatto. Ma l'entusiasmo del suo cuore, tutte le ricchezze del sentimento che l’avevano sostenuto in guerra si rivoltano contro di lui. Il fanciullo della trincea si trova, in pace, disarmato come l’albatro della lirica di Baudelaire che i marinai deridono perchè non riesce più a sollevarsi nel vento dove è re. È il dramma eterno della giovinezza e dell’amore sul piano del tormento del mondo moderno uscito dalla fornace bellica. Vi sono, nel romanzo, pagine alate e pagine commoventi e, all'inizio, una meditazione che è da collocare tra le più belle ispirate dalla guerra. Aver vissuto ore cosi eroiche, sembra concludere il romanzo, per poi ritrovarsi nella vita mediocre e volgare! Qui sta il dramma della generazione francese che Filippo Barrès rappresenta. Ne abbiamo una sintesi nella dedica del libro « à tous ceux de nôtre age qui surent vaincre mais dédaignèrent de régner ». Ed ebbero torto. O meglio, mancò loro un grande capo che li raccogliesse e li guidasse. Così, dopo aver vinto la guerra, i reduci lasciarono il paese nelle mani dei vecchi uomini che l'avevano condotto sull'orlo della catastrofe e che continuano a governarlo con metodi superatissimi, impotenti ad affrontare i problemi d'ogni ordine che di ora in ora la realtà pone sul tappeto con drammatica urgenza.

Ritratto di Maurizio Barrés giovane

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 14.06.33

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “I libri della settimana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1096.