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Titolo: Pascolo

Autore: Nino Savarese

Data: 1933-06-21

Identificatore: 1933_287

Testo: Pascolo
Il piccolo pecoraio stava davanti alle sue pecore come una piccola divinità; segnava loro la via sulla terra uguale e solitaria, le fermava ai termini dei campi seminati o dei pascoli padronali, e sapeva anche comprenderne la fame e la sete, e la stanchezza sotto il sole avvampante dell’estate.
Dopo tanto tempo di quella muta compagnia, tra il ragazzo ed il suo gregge era certamente nato un misterioso modo di intendersi, e questo sembrava crescere e farsi più intimo, allorché l’aria si rabbuffava negli uragani e il cielo, oscurandosi, pareva chiudere la plumbea solitudine, spazzando, a un tratto, i colori ed ogni allegria dai campi.
Allorché le pecore erano costrette a sostare a lungo dove l’erba mancava, e si stancavano inutilmente il muso sul petrame esausto come un seno inerte per vecchiezza, si voltavano a guardarlo tutte insieme, come pregandolo. Jano sentiva quello sguardo e, contro ogni divieto ed ogni legge, faceva il segno della grazia con la sua verga che era di un palmo più lunga della sua piccola persona.
* * *
Ad uno di questi segni, il piccolo gregge si mosse, con un allegro ondeggiare delle groppe lanose, verso un prato di meravigliosa ricchezza dentro il quale stavano, beatamente, solo una diecina di cavalli dalle groppe lucenti e quell’aria ricca ed oziosa degli allevamenti baronali.
Ma il campiere che stava in agguato si avvicinò improvviso, galoppando sulla giumenta dalla rozza bardatura guerresca, e quando fu sopra al ragazzo lo percosse con una nerbata. Jano non disse nulla, ed alla forza dell’uomo oppose la sua torva rassegnazione di ragazzo adusato alla dura vita della pastorizia.
Le pecore, sbandate a quell’improvviso irrompere, rimasero sparpagliate e ferme, con l’erba in bocca, come al colpo del fulmine.
Spronando la pesante giumenta, il campiere si mette a girare intorno alle quindici pecore, come se volesse chiuderle in un cerchio; il ragazzo vi sta in mezzo, rosso in faccia ed ansante, e pure nel suo sbigottimento, premuroso di due piccoli agnelli nati il giorno avanti, se li prende in braccio come per difendere la loro innocenza, con quel tanto di potere che ancora gli rimane.
Non comprende che si voglia fare di lui e delle sue bestie: guarda ed attende senza fiatare.
— Avanti, alle case! — grida il campiere agitando il nerbo, e intanto con le evoluzioni della sua giumenta va raccogliendo le pecore e le avvia alla salita.
— Alle case! — grida ancora, — vi insegnerò io a portare le pecore nella terra che non vi appartiene...
Le case sono in cima al poggio e si vedono appena, quasi nascoste da un altro piccolo poggio, e sembrano un mucchio di petracce nere che avessero messo radice su quella cresta. Davanti il grande arco del cortile, qualcuno della masseria guarda, incuriosito, la scena, che per la solitudine dei luoghi si può seguire in tutti i movimenti e per la lontananza appare rimpicciolita come un giuoco di fantocci.
* * *
— Le pecore sono sequestrate! — gridò il campiere, e le spinse dentro una stallacela vuota e si mise la chiave in tasca.
Jano rimase seduto dietro la porta coi due agnellini tra le gambe.
Teneva gli occhi bassi ed umiliati sotto gli sguardi di due ragazzotti della masseria, che non comprendevano quello che era accaduto, ma sentivano solo di aver davanti un colpevole, e stretti tra loro lo guardavano senza avvicinarsi, per quell’istinto che porta gli uomini ad apprendere la sventura come spettacolo, prima di parteciparne con la carità.
Ma un ragazzo più grande, che sopravvenne con l’aria più saputa degli altri, andò vicino a Jano e gli disse:
— Adesso il campiere te le ammazzerà tutte e quindici...
Giusto in quel momento le pecore si misero a belare in fondo alla stalla con voci rauche e lugubri che sembravano soffocate dalla violenza.
Ma anche quei ragazzi che lo avevano guardato come un appestato scomparvero, come erano scomparsi, non si sa dove, tutti gli uomini della masseria, e il casamento piombò in quel vuoto silenzio che incombe sulle case di campagna, allorché si spegne la voce della massaia o il grido di coniando del vecchio fattore e prende il sopravvento il genio dissolvitore della solitudine.
Jano si guardò intorno e si vide solo, come tuffato in quello strano silenzio che gli ronzava negli orecchi, e in preda a tutte le insidie, esposto a tutti i pericoli.
Si alzò piano piano, per non destare il sospettò di due grossi cani che sonnecchiavano sdraiati nella striscia d’ombra del cortile, si caricò i due agnelli, uno in collo, l’altro malamente sotto un braccio, ed uscì dal portone.
Quando fu all’aperto si mise a correre a precipizio deciso a raggiungere il padre nel più breve tempo possibile e dirgli quello che era accaduto e mandarlo subito a liberare le pecore, subito, prima che il campiere avesse potuto veramente ammazzarle.
Ma più s’allontanava dalla masseria e più si sentiva lanciato in una libertà pericolosa: lontano dalle sue bestie, lontano anche dal padre che era il solo che avrebbe potuto soccorrerle.
Calpestava la terra con rabbia, barcollandovi sopra più che non corresse: la sentiva sotto i piedi come un ostacolo che accanitamente si rinnovava nella sua estensione e nella sua continuità. Correva, saltava, andava incontro a nuovi campi e a nuovi valloncelli e a nuovi solchi come se avesse voluto buttarvisi a nuoto e perdersi in essi: col cuore che gli scoppiava e le povere bestiole che gli sbattevano sul corpo, belando.
Giunto finalmente, stremato di forze, sopraffatto dalla paura, cadde carponi, sbattendo gli agnelli che per miracolo gli si reggevano ancora addosso. Quando il padre intese che cosa era accaduto, gli diede un calcio nella schiena senza dirgli una parola.
E subito si avviò col passo lento e fermo verso la masseria.
Jano rimase con una guancia posata sul terreno e non si mosse più. Aveva la febbre. Anche gli agnellini lo avevano abbandonato per andare a ruzzare lontano intorno al muretto dell’ovile.
Nella posizione in cui si trovava, la terra sfuggente all’insù, coperta da una peluria di erbe secche e di spine che sembravano attingere il cielo, gli riempiva gli occhi. Dalle parole che biascicava nel delirio della febbre, si comprendeva che si fingeva nella fantasia campi di sulla fiorita, e da quei fiori vedeva uscire rivoli di sangue. Ma a poco a poco, mentre il sole scendeva all’orizzonte, egli si assopì e non si risentì nemmeno allorché giunse il padre con le pecore liberate.
A notte alta aprì gli occhi: si guardò intorno e con una dolce meraviglia vide che tutto era come prima, come tutte le altre notti. Soltanto lui non dormiva sul suo solito giaciglio, ma un poco più discosto, e in punto dai quale poteva abbracciare tutto il muretto dell’ovile e vederne l’interno.
Le pecore erano al loro posto, ferme e tranquille, e la luna, che toccava le estreme punte delle spine del muretto, illuminava i loro velli bianchi, e se egli si sollevava un poco sui gomiti udiva i campanacci di qualcuna che quetamente muoveva la testa.
Cercò il padre, ma vide, rassicurato, la solita macchia nera davanti la porta della capanna. Tuttavia quelle cose ritrovate avevano per lui una tinta irreale di sogno: tutto quello che era accaduto nella giornata gli appariva lontano ed incerto. Aveva desiderato persino di morire, nel colmo dello spavento, ed ora si meravigliava di vedere che la terra era sempre la stessa intorno a lui, che il suo cuore aveva finito di palpitare, e le pecore non belavano più, e l’ombra paurosa che gli era apparsa la mattina sul prato era scomparsa.
Pensò con pace che i due agnellini a quell’ora, ritrovata la madre, dormivano tra le sue gambe; pensò che il padre lo aveva di già perdonato, e richiuse gli occhi nei quali era rimasto, e ritornava, il prato della mattina, sparso di punte bianche e delle macchie grasse e sanguigne della sulla.
La terra aveva perduto ogni forma al tramontare della luna e continuava il suo viaggio nelle tenebre, portando come un fuscello quel corpicciuolo caldo di febbre, dove le ultime immagini vane annegavano nel sonno.
Nino Savarese.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 21.06.33

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Citazione: Nino Savarese, “Pascolo,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1097.