Calcomanie (dettagli)
Titolo: Calcomanie
Autore: Camillo Sbarbaro
Data: 1933-09-06
Identificatore: 1933_389
Testo:
Calcomanie
Impiegato
È dalla ubicazione e da nient’altro che tira il suo prepotere l’impiegato alle contribuzioni dirette, che oppone al pubblico di dietro lo sportello l’indifferenza d’un paradigma; non dalla faccia certo, priva di segni distintivi e dove tutto è regolare o castagno come in un permesso di caccia.
Se infatti di là dietro si toglie — e ciò a malincuore gli avviene — oh allora è una vendetta guardarlo! Nessuna burbanza gli consentono più le gambette a serramanico, che il riparo sottraeva alla vista, e sulle quali ora armeggia, spostandole una alla volta come fossero macigni.
Mandando in giro, che non si rida, gli occhi supplichevoli, guadagna l’abitazione; dove lo attendono, capisco, le angherie dei congiunti.
Parlatorio
Nel parlatorio riprovo il solito disagio. Agghiaccio nella penombra che vi mantengono accuratamente; e l’occhio si ritrae dagli oggetti intorno come la mano dall’ortica.
Nessuno è mai restato più d’un minuto su quel divano inospitale, e il lume a sospensione non ha mai assaggiato petrolio.
Arredamento che uno scenario sostituirebbe con vantaggio. Invece lo riguardano dal tocco del sole come farebbero una mummia dalla corrente d’aria.
Tra il gruppo fotografico dei Reverendi e quello degli Allievi, il cartello « Qui si saluta romanamente » salta su come un grido sedizioso.
Di vivo c’è, su una sedia, un groppetto. Vi indovino di quei dolci fatti in casa che, per essere trovati buoni, richiedono da chi li mangia il condimento delle lacrime. Sotto specie alimentare, contiene la disperazione di una mamma che non può tenersi il figlio vicino. Vergognoso, esso parla nel silenzio di retta scarsa, di minestre acquitrinose, di appetito a quell’età.
Sul tavolo, degli stampati. Spero in una di quelle miscellanee come se ne trovano nelle anticamere dei dentisti: dove c’è sempre il caso di pescar qualche cosa su cui posar l’occhio.
Sono tutti opuscoli e periodici inviati gratuitamente; hanno solo avuto cura di scartarne quanto può richiamare l’altro sesso. Organo della Associazione degli ex-Allievi; Bollettino degli Zelatori del Sacro Cuor di Gesù; Eco del Bambino di Praga... Battono cassa per le Missioni, per le Anime Purganti... Dove mi cade l’occhio, si lamenta la diserzione che la guerra ha portato nelle file dell’Ordine e si fa caldo appello ai Sigg. Coadiutori di promuovere le vocazioni... Ad ogni appoggiarmi, il tavolo sotto protesta con una voce sgarbata che manda via...
Esco pel corridoio; è vuoto; ma dall’uscio a vetri della « Direzione » continuamente esce e rientra un giovane prete occhialuto, lungo e un po’ curvo, che saluta e arrossisce.
Deve aver veglia di chiedermi chi sono; uscendo se lo propone; poi gli manca l’ardire. Ma ormai, incontratisi gli sguardi, non sa di meglio che risalutare.
S’arresta, strìscia indietro il piede, si inchina brevemente, spuntando di sopra le lenti gli occhi nebbiosi e spremendo dal viso compunto la smorfia d’un sorriso. Così ogni volta e ogni volta avvampa daccapo.
Per toglierlo di imbarazzo, mi assorbo nelle cornici che — come le stazioni d’una Via Crucis — arredano intorno le pareti.
Illustrano negli episodi salienti la esemplare vita del giovinetto Perata e la propongono alla edificazione dei miranti.
Qui si vede il giovinetto Perata buttato ai piedi del suo Direttore di coscienza. Con la mossa di Santa Caterina alla corte di Avignone, supplica gli si consenta di non allontanarsi dal Collegio per le vacanze « allo scopo di evitare le occasioni ». Qui il giovinetto Perata dà alle fiamme le « perniciose letture »; gli fan rispettosa corona i condiscepoli, atteggiati di ammirazione.
Qui il giovinetto Perata « serba, pur dinanzi alla propria madre, la modestia degli sguardi ».
Veh come atterra le luci! pudicizia di quelle saracinesche calate davanti agli sguardi!
Illuminata da quel contegno, la madre acquista coscienza della propria indegnità e di confusione si smarrisce...
Cotrone
La città si esaurisce in questa piazza: troppo grande per gli uomini — alcuni in orecchini — che, a capannelli, vi sostano in piedi. In mezzo v’hanno istituito un deposito di carretti; allo scopo per cui si colloca, in mezzo a una stanza vuota, una sedia.
Un’edicola, dei portici. Sotto i portici dei lustrascarpe. Danno ciascuno un’occhiata alle mie scarpe: severa, ma nulla più. Maestri di decoro, non scendono ad imbonimenti: illustrano con l’esempio il detto di Epaminonda. Ne conto sino a quattro. Dev’essere una industria locale, come a Pisa quella degli ortopedici. Per mantenerla in vita, un’ordinanza sindacale darà incremento al polverone.
C’è anche un caffè; ma sin le sedie vi invitano ad alzarvi.
Desolazione che richiama i giorni in cui nulla di presente incuora e si allunga il collo, per non perire, a un futuro nel quale non si crede.
Mi scampa da essa il viale Regina Margherita.
Eccolo, lo Jonio, cui mi tendevo stanotte dal treno; e non lo speravo così!
Una gettata, un faro, dei barconi che si cullano: Cotrone ha un porto. Ma per me che sotto l’Arco di Tito non cerco che le farfalle, quel che conta è il colore del mare.
Un’acquamarina come questa mancava alla mia collezione che ne vanta di rare.
Mentre vi bagno gli occhi, il mare di Cotrone è un fiordaliso; ma si esalterà nel ricordo in chi sa che azzurro di sogno.
Forse io sono il fortunato capitato in punto a vedere il fiore che si apre ogni cent’anni. Chi sa quante circostanze han cooperato al prodigio. Esso magari non si ripeterà.
Ma d’ora innanzi non sarà altro per me il colore del mare in Calabria: quest’acqua l’ha in proprio come il suo la pietra preziosa.
Gioie che toccate paiono perdute: e son esse che aggallano dopo anni quando la gente ci vede sorridere senza ragione e cerca intorno che è.
Tentando di accordarsi come possono al prodigio con un blu opaco, industriale, s’allineano, a destra del porto, cabine su palafitte.
Da un bagno in questo mare ho il presentimento che la mia vita si arricchirebbe.
Mio nonno aveva visto un ragno, uscito da un duello, strofinarsi a cert’erba e lasciarvi il gonfiore.
L’istinto è infallibile: chi sa che perdo a non cedervi.
Camillo Sbarbaro.
Collezione: Diorama 06.09.33
Etichette: Camillo Sbarbaro
Citazione: Camillo Sbarbaro, “Calcomanie,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1199.