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Titolo: Lo scrittore come professionista

Autore: Luigi Volpicelli

Data: 1934-08-08

Identificatore: 1934_333

Testo: DISCUSSIONI
Lo scrittore come professionista
Le conclusioni cui arriva Massimo Bontempelli nel trattare degli scrittori come professionisti, e soprattutto il suo modo di impostare il problema, credo che debbano convincere ognuno. È una questione di civiltà; e il Bontempelli ha il merito di agitarla da più anni. Se il lavoro dello scrittore genera ricchezza, è, infatti, balordo che soltanto lo scrittore non debba poi trarre vantaggio dall’opera sua. Residuo di vecchi tempi e di mentalità melodrammatiche.
Se, quindi, voglio tornar sopra a certe premesse enunciate dal Bontempelli, non è per dissentire su questi punti.
Ma quando egli definisce scrittore «in senso sindacale e corporativo » « colui che mediante un suo scritto stabilisce rapporti economici », e pensa, dunque, che il sindacato, in regime corporativo, possa essere un organismo meramente economico, io dubito molto.
Lasciamo stare per il momento di considerare ciò che i sindacati scrittori sono stati fino ad oggi e la tutela che hanno offerta ai loro iscritti. Domando: se lo Stato corporativo conosce solo il fatto economico e non la « poesia », non « la morale », nè « la virtù », come può definirsi, poi, lo Stato corporativo sistema di valori ed organismo di gerarchie? Quali gerarchie vi sarebbero? Quelle del censo, forse? E quali sarebbero questi valori? Lo Stato sindacale potrà conoscere solo il lavoratore e il datore di lavoro, potrà conoscere Dante in quanto produttore di ricchezza e solo a questo patto, ma lo Stato corporativo evidentemente è un'altra cosa.
Il nostro punto di partenza, per ragionare di ciò, non può essere atomistico. Giova o nuoce alla collettività questa maieutica sindacale volta a partorire e a far partorire centinaia e centinaia di mediocrità, questa fiera della vanità dove si butta a mare ogni valore, questa democrazia di infausti scrivani? Alle ragioni teoretiche, potremmo aggiungere considerazioni pratiche: la preoccupazione che deve destare lo spettacolo della volgarità dilagante e del trionfo della mediocrazia.
Che cosa s’intende per Stato corporativo? Il sistema dei contratti di lavoro? Una mera organizzazione economica e non già un coordinamento dei valori, una risoluzione integrale di tutta la vita nella organizzazione, che, per questo e solo per questo, è anche una organizzazione economica?
Sono preoccupazioni e pensieri che avevo di già espresso o sottinteso in un articolo apparso sull'Italia letteraria. Come capita, ci è stato chi ha convenuto con me e chi ha protestato.
E. V. mi risponde: « Dei sindacati... spirituali o morali... sarebbero assai più pericolosi (per chi? ) dei sindacati aperti », e allegando che io avrei chiesto « l'esame di maturità » per l'ammissione dello scrittore al sindacato, mi obbietta: « Chi potrebbe più toccarlo » questo scrittore riconosciuto dal sindacato? Se l'obiezione valesse risponderei: tutti. Tutti coloro, almeno, che oggi vanno scrivendo senza pietà contro questo o quello scrittore autorevole.
« Il diritto di chiunque — chiunque si senta in grado — a professarsi pittore o scrittore deve restare — dice ancora E. V. —; solo che questo diritto non deve essere collocato ad interesse composto e fruttare senz’altra fatica quelli infiniti che invece spelta al merito conquistarsi». E considerando la questione privatamente, non c’è che da sottoscrivere: ogni persona che abbia fede e rispetto di si non vorrà mai servirsi di vie allotrie. Anzi per me o per te, privatissimamente, può anche non esserci bisogno del sindacalo: ci facciamo giustizia da noi. Ma la faccenda non riguarda me e te, come individui, riguarda lo Stato, il suo valore e il suo significato. Di nuovo, questo Stato che non conosce valori ma numero, che dà diritto a chiunque, che razza di Stato è? Lo Stato del chiunque, cioè non lo Stato corporativo!
E non si avvede E. V. di darmi implicitamente ragione? Il suo scetticismo il suo pessimismo sorge proprio dalla considerazione che col chiunque si offrono condizioni ai mediocri e agli arruffoni di far fruttare ad interesse composto il loro diritto, mentre i migliori se ne staranno schivi e da parte: e il sindacato del chiunque si ridurrà ad organismo corruttore e politicantistico.
Ma è tanto vero che il chiunque non può prevalere, che un altro interlocutore, Corrado Mezzana, difendendo pur lui il chiunque, non si avvede di aggiungere che il sindacato «può solo riconoscere a mezzo di una commissione centrale... se un aspirante esercita permanentemente, prevalentemente, decorosamente quell'arte nei cui ruoli vuole essere iscritto ». E decorosamente, domando io, che cosa significa? Decoroso non è forse un giudizio di merito? Ma i sindacati hanno o non hanno veste per dare « patenti di abilità »? Come faranno a « metter fuori tutte le signorine dilettanti, anche se adorne di qualche preziosità di tono » se non entrano in un giudizio di merito? Come si vede l'esame di maturità non sono io a proporlo. Parlavo del giudizio di una commissione di artisti per dire in sostanza questo: che il criterio di ammissione deve essere unitario ed assoluto, e per augurarmi che a capo di questa delicatissima funzione del sindacato, come di tutte le altre, ci fossero i migliori.
Comunque sia, per veder chiaro nella faccenda della organizzazione corporativa degli scrittori e degli artisti bisogna mettersi dal punto di vista dello Stato e cioè dei valori: perchè lo Stato corporativo ha senso e può essere Stato solo se è gerarchia di valori. Parlare di mero fatto economico o politico in senso frammentario, è rimanere immobili nelle vecchie concezioni, che potranno chiamarsi magari liberalismo, sindacalismo, democrazia, ma che non possono essere spacciate per fasciste. E questo con buona pace di quel signor Ghezzi che per dimostrarmi il contrario mi cita fuori la Carta del Lavoro! Quasi che quanto io dico non sia contenuto di già nella Carta del Lavoro, e come se lo Stato corporativo fosse tutto in questa Carta.
Le cose che contano mi pare che siano queste. E quando saranno risolte, l'organizzazione degli scrittori e degli artisti, sia quale si sia, funzionerà. Ma come non rilevare che tutte le conquiste ottenute dagli scrittori, e ricordate dal Bontempelli, son frutto della legge sui diritti di autore e dell’attività della Società degli autori? Anzi, a un certo punto il Bontempelli invita gli scrittori all'esempio offerto loro dall'amministrazione della produzione letteraria quando questa si presenta sotto la forma di spettacolo; per cui la Società degli autori, stabilito un contratto-tipo, si fa amministratrice di tutta la produzione con una vastissima rete di uffici di controllo. « È necessario — egli scrive — che quel che si fa per la musica e il teatro, si faccia anche per il libro. La stessa rete di uffici può servire per quelli e per questo ».
Ultima cosa da dire è che non si capisce il gusto delle diarchie e delle triarchie. L’organizzazione corporativa degli scrittori e degli artisti deve essere uria: abbandonarsi al gusto delle astratte geometrie non giova.
Luigi Volpicelli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 08.08.34

Citazione: Luigi Volpicelli, “Lo scrittore come professionista,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 23 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1698.