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Titolo: Letture: poesia di Auro D'Alba

Autore: non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1934-10-24

Identificatore: 1934_443

Testo: Letture
Poesia di Auro d’Alba
C'è una tradizione poetica che ha le radici nei sentimenti elementari, che canta i grandi dolori e cerca nel canto consolazione e balsamo e insieme ragione di vivere. La morte d’una persona cara può creare un vuoto non altrimenti colmabile che affidando la testimonianza del proprio dolore al diario lirico: molti poeti ci son passati, e per non dir d’altri Giuseppe Chiarini lasciò un canzoniere completo, Lacrymae, ispirato dalla dipartita del figlioletto Dante; e se il Carducci, in una simile sciagura, si tenne dentro il suo spasimo ruggendo di muta disperazione, pure tutti sanno che tra le sue poesie c'è almeno una breve lirica dove il motivo del rimpianto è svolto con accenti inobliabili. Ad Auro d’Alba, poeta di finissima sensibilità, è accaduto di perdere una figlia giovinetta, di trovarsi da un giorno all’altro nella vita come un essere per il quale si sia spento improvvisamente il sole. Il poeta si rifugiò nella fede e nella nostalgia dell'eterno; e le testimonianze della sua angoscia e della sua nuova condizione di vita spirituale ha raccolto in un volume di liriche intitolate al nome della creatura morta, Ofelia (ed. Mondadori, 1934 - L. 10).
« Ofelia, è detto nella presentazione editoriale, è ricordo delle dolorose gioie del mondo. Ogni gioia è diventata una lacrima. E ogni lacrima una gioia ». I temi direttivi del canzoniere sono appunto questi due principali: la rievocazione del passato come fonte di gioie transitorie e pure indimenticate, e la visione, attraverso la sciagura, d’un avvenire che la mente ancora non si può spiegare ma nel quale il cuore crede con divina certezza:
T’incontrerò un mattino
durante il mio viaggio tribolato, ti fermerai, mi condurrai per mano, invocherai per me misericordia:
saprò perchè precedermi hai voluto.
La creatura perduta ma viva è presente in ogni pagina del libro. Il quale, intitolandosi a lei, confessa subito la dolorosa necessità della sua genesi. E imposta il dramma del superstite con una forza d’accento poetico e con una sincerità che derivano dall’interna esagitazione per cui al poeta il mondo non par più quello di prima, e sulla terra fatta deserta della creatura eletta il cielo si mette a tremare come nei giorni dei grandi cataclismi. La creatura è stata assunta ai cori angelici, e la sua presenza nel canzoniere paterno è una presenza immateriale, alonata, luminosa. Ofelia è tornata dov’era e dove non si muore, sposa d’uno sposo immortale:
Nessun uomo la toccherà, non sarà mai di nessuno, ma solo del mio tormento
e del mio trepido amore, della certezza
di ritrovarla qual era:
mia per l’eternità.
Così il canzoniere trasfigura in questa certezza il dolore, ascende verso la conquista di temi eterni. Il padre s'affatica perchè resti della morta nel mondo una traccia: il ricordo di ciò che è stata come punto di partenza per giungere alla visione di ciò che è e che si rivelerà un giorno.
Non vedo che le braccia della Croce aperte sul mio capo...
Ma la Croce è sorgente di luce. E chi la porla, arriverà.
Auro d’Alba

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 24.10.34

Etichette:

Citazione: non firmato (Lorenzo Gigli), “Letture: poesia di Auro D'Alba,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 18 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1808.