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Titolo: Fabbrica di campagna

Autore: Nino Savarese

Data: 1931-10-21

Identificatore: 188

Testo: Fabbrica di campagna

L’uomo che si accingeva a fabbricare si sentiva intorno un’aria di approvazione. Seduto nel mezzo del pianoro, tra i carri che cominciavano a scaricare il gesso, la calce, la sabbia, i mattoni, non nascondeva a nessuno la sua contentezza. E non si stancava di seguire amorosamente tutte le mosse del muratore e dei manovali che drizzavano il ponte con quegli assi e quei tavoloni e quelle corde incrostati dal lungo lavoro che pareva portassero le impronte e il ricordo di tutte le altre case che avevano aiutato a fabbricare.

Non si trattava che di una piccola casa di campagna; di far sorgere due tetti in mezzo agli alberi, ma bastava, perché e il mezzadro e i vicini e la gente che passava dalla scorciatoia approvassero, come è sempre approvato chi costruisce qualche cosa, dalle grandi alle piccole.

Perché la terra non è di nessuno, e gli uomini vi passano senza voltarsi indietro, e ciò che vi lasciano è sempre di quelli che verranno.

A lui sfuggivano le ragioni di quella approvazione e pensava solo alla sua felicità. Benché ancora si parlasse di fondazioni, col metro e il filo a piombo alla mano, pure la casa già viveva nella sua fantasia ed all’anticipazione della fabbrica si univa quella della vita che vi avrebbe condotta. Gli sembrava di esser finalmente giunto in un porto sospirato, e giurava a se stesso di rimanervi sempre: alla felicità, già in atto, non mancava che la chiusura di quei tetti per non farla scappare mai più.

— Mastro Mario, mi raccomando, non mi fate spendere troppo...

— Signor mio, i muri di sostegno sono in pessimo stato. Per alzare bisogna assicurare le fondazioni; vuol farsi cascare la casa addosso?

— Questo no, ma vediamo come si può fare.

— Forse due buone catene, una qui e l’altra lì, e rinzaffando di calce.

— E verrebbe abbastanza solido?

— A seconda del tempo che vorrà vivere vossignoria.

— Mastro Mario, lasciate stare gli scherzi, ora. Insomma facciamo le cose giuste.

— Io non scherzo affatto, dico che chi si fa la casa, deve sapere quanto tempo vuole che duri: ci sono quelli che si credono eterni, quelli che pensano per i discendenti e quelli che vorrebbero crollasse tutto dopo di loro, e dunque c’è modo e modo di fabbricare...

O

Strani discorsi faceva quel chiacchierone di muratore! Mentre lavorava, gli piaceva di parlare, e i suoi discorsi, quando non erano degli scherzi o delle barzellette, tiravano di preferenza al trascendentale.

Il padrone, tutto preso dalla sua infatuazione di fabbricare, non comprendeva quelle allusioni, come nessuno le comprende.

Ma basta tendere un poco l’orecchio mentre si fa una cosa per sentire che, sempre, per bocca di qualcuno, il tempo e la morte e il mistero della nostra esistenza ci si fanno presenti. Non importa se colui che parla è un ignorante o un capo scarico, perché le sue parole vengono da molto lontano.

O

« Giorgio, Giorgio », non si parlava che di lui ; non si chiamava ad alta voce che quel nome; nome nuovo nella famiglia ; un volto nuovo che si affacciava allora tra quelle cose e quegli aspetti antichissimi che non lo conoscevano. Erano venuti improvvisamente i parenti del padrone a vedere la prima camera finita : Giorgio era il fidanzato della nipote.

— Giorgio, che bella casetta sta facendo lo zio, guarda come è carina questa camera con la finestra così vicina agli alberi... Giorgio, tu che ami la campagna ci starai volentieri qui tutta la primavera... con me... e con lo zio, non è vero?

— Certamente... certamente... del resto io sono vecchio, sono solo : questa casetta sarà vostra... è per voi che la sto fabbricando.

Il padrone disse cosi perché cosi parlano tutti i vecchi, ma si senti uno schianto al cuore e guardò allarmato la casa come se volessero portargliela via.

La sera rimase a lungo a guardare la camera nuova, seduto sotto l'ulivo e gli parve enorme. Quella massa di mattoni che prima non c’era, quel tetto nuovo che toccava i rami dell’albero, gli davano un senso di ingombro inutile e di pesantezza, come di cosa cresciuta spropositatamente, tradendo la sua volontà.

Al chiaro della luna, si vedevano i mucchi della calce, del gesso e i regoli di ferro lucente e i mattoni accatastati e le pile delle tegole rosse e tutte quelle cose nuove che il tempo aveva appena cominciato a sfiorare, gli davano quasi un senso di invidia ;
nei rari rumori della campagna, gli parve a un tratto di riudire quel nome che la voce della nipote aveva lasciato nell’aria: « Giorgio... Giorgio ».

O

Ormai non vedeva l’ora che anche quell’altro tetto fosse coperto. Si lamentava dei gran danari che gli facevano spendere, faceva delle sfuriate a mastro Mario perché non perdesse tempo. Per quest’altra camera, che doveva sorgere sulla stalla, ordinava di mettere da parte tutte quelle esagerazioni delle fondazioni: una rinzaffata al vecchio, e via.

— Si tratta di due camerette; non debbono mica sfidare i secoli! Voialtri lo fate apposta per rovinare la gente... a lasciarvi fare non si finirebbe più di tirar fuori danaro!

Ma mastro Mario teneva fermo che lui « non poteva fare le cose contro le regole dell’arte ».

— La sera mi fate quei discorsi che la vita è un soffio, che la terra, e il cielo e che so io, che sembrate un mulino a vento, e il giorno poi state sempre con quel metro in mano e il filo a piombo, e non c’è calce che vi basti. Mastro Mario, ho imparato da voi a pensare come si deve: posso campare ancora una diecina d’anni e che la casa sia eterna non mi importa nulla!

Mastro Mario rispose con la sua solita risata che gli arrossava la faccia fine di bevitore e di uomo sensibile e sensuale.

— Ridete, perché voi le case le fabbricate per gli altri, ma io ho imparato che chi si fabbrica la casa pensa alla morte...

L’altro non rispose e si rimise cheto cheto a lavorare.

Ma ad ogni cazzolata di calce che buttava, pareva di leggergli l’interno sentimento dell’inutilità di quello che faceva, perché gli altri glielo facevano fare. Senza trascurare mai, però, « le regole dell’arte ». Quell’arte che era un mito al quale ubbidiva anche lui, senza sapere il perché.

Nino Savarese.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 21.10.31

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Citazione: Nino Savarese, “Fabbrica di campagna,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/188.