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Titolo: Il minore

Autore: Camillo Sbarbaro

Data: 1934-12-26

Identificatore: 1934_533

Testo: Il minore
Che entrata fa il nonnino! Rotti sulla soglia gli indugi — qualcuno dei piccini a questo buio recalcitrava — avanza in cerca d’un tavolo dove allogare la nidiata. Reca la festa. Arruffato e prepotente come un galletto accende sul suo passaggio la luminaria dei sorrisi.
Gli arrabatta dietro, camminandogli sui calcagni, una piccina bionda e celeste che tira le carezze; chiara come una goccia d’acqua. È invasata e a momenti barcolla. Assunta nella bambola di recente acquisto, non s’avvede neanche dell’entusiasmo che solleva.
La tien ritta, la instrada — appena maggiore di lei e già giudiziosa — la brunetta dai treccini accercinati che sull’ingresso nicchiava a questo tanfo di vino.
Ultimo — ostentando distacco dalle gonnicciole — siede, l’aria astratta, il maschietto. Fa l’omo: s’addossa al vecchio con cui affetta di stare; ed è certo per avergli tenuto bordone che ha lo sguardo di chi lotta col sonno.
Ha appena preso posto, il vecchietto, che s’informa dell’uomo dei bruscolini. Col miraggio, capisco, del croccante di pistacchi s’è tirato dietro i piccini all’osteria. Che daffare per loro si dà! Una chioccia. Ma non è tutta premura l’arzillo che ha in pelle.
Lo guardo. L’arsura lo prosciuga; non gli lascia indosso che tendini e cartapecora; è essa pure, si direbbe, che gli accartoccia gli orecchi. Ma il vino, cui per spengerla ricorre, non fa che attizzarla: l’acredine del sangue lo sbuccia vivo; gli manda di traverso la lobbia, gli dà anche in baldoria l’aria risentita. Dal fondo di crateri s’avventano i punteruoli degli occhi, aguzzati dalla diffidenza; e il pomo d’Adamo balla tra le corde del collo.
È festa, oggi; e il vecchietto non ne fa mistero. Il suo compleanno. Settanta. (Da quell’altezza, brava i presenti a raggiungerlo). Vuole che pei nipotini la data rimanga memorabile. I soldi vanno e vengono. Sono gli anni che restano.
Soprattutto al tavolo dove han chiuso ora la partita, questi propositi incontrano. Fin troppo. E un attimo il vecchio s’impunta ad osservare il faccione pasquale che, per intendersela a mezza bocca coi compagni, non gli toglie d’addosso gli occhi in festa, dondolando d’assenso come una campana.
Ma per ora i piccini sono senza sospetto. Col nonno oggi sono stati al paese dei balocchi e se lo guardano con ammirazione; sebbene, ormai, come assisterebbero alle prodezze del giocoliere: tante ne han viste che non stupiranno qualunque cosa sia per sortire dal prodigioso sacchetto. Il più del tempo anzi neanche lo guardano: saperlo lì gli basta come a pulcini appunto l’ombra della chioccia.
Centro di occhi innamorati è ora la biondina. A tratti si ravvisa; stacca da sé — si strappa dall’anima — la pupattola; e, d’impeto come la buttasse, la porge alla sorella; ansiosa, ma con la disperata serietà di chi sta ai patti. Magnanima, ogni volta la sorella gliela lascia; si giudica, si vede, abbastanza in età, essa, per passarsene. Invece le tira sui ginocchi la gonna, rassetta la propria, la donnina: composta, i gomiti alla vita, dandosi intorno arie protettive.
Quando, che gli piglia al nonnino? qualche cosa di stizzoso come un accesso di tosse e che lo scuote, lo congestiona così. Imbizzito batte le mani, reclama come un credito l’uomo dei bruscolini.
Lo scatto non par vero al tavolo dei giocatori; il faccione in specie sciala, è a nozze: « Ma dov’è, ma dov’è quest’uomo dei bruscolini? » e fa atto di cercarlo sotto i tavoli.
Ahi. In lui concentra il vecchio il risentimento senza oggetto; fermo che pare tolga la mira. Non spiccica sillaba: bottiglia capovolta si strozza da sé. Ma lo vedo far fumo come sotto la lente la capocchia che sta per divampare. E, di punto in bianco, i piccini esterrefatti odono il nonno inveire, trattare il vicino di signor Luna; da seduto, ma stendendo la gamba in procinto di alzarsi.
Luna! L’ilarità che ha accolto il nomignolo e l’imbarazzo della vittima nell’associarvisi han spuntato la collera del vecchio, che l'intromissione dei vicini finisce di rabbonire.
Ma mentre s’invischia in parlari coi nuovi amici, questi, dandogli esca di consenso, han l’occhio, più che a lui, a ciò che succede alle sue spalle.
Gli è tolta di sotto, che non vi ricali, la sedia; ed una gomitata mette in piedi di soprassalto il maschietto, rimasto al tavolo ad armeggiare gli occhi come aghi da calza. La brunetta gli infligge il litro ricolmato in furia dai bicchieri e spintona con quello l'intontito verso il banco.
Ma dell’angheria che ora il vecchio non s’accorga!
Prima che ne abbia il tempo, la brunetta gli spicca contro la Frode: sotto aspetto, oh, non si potrebbe più disarmato e soave.
L’innocenza doma i mostri. Per quanto impegnato l’appello dei braccini lo tira giù; e nell’orecchia boschiva, quando le giunge a tiro, s’allevia la biondina dell’appresa bugia; ve la deposita, riscappando già con un piede, senza esserne tocca: pari pari come s’imbuca la lettera di cui s’ignora il contenuto.
Senonché assente sì, il nonno, e la buffetta; ma raddrizzarsi gli basta per non saper più — gli si legge sulla faccia — ciò che ha udito da basso.
Questa volta, imbeccata daccapo la piccina, la sorella la tiene sotto l’ingiunzione dello sguardo. E pur sotto l’ingiunzione ha della pena questa volta l’innocente a spacciare la bugia; è un boccone che la sforza; ne è tutta arrossita. E riscapperebbe, coperta d’onta; e lancia implorazioni alla tiranna. Ma l’ingiunzione l’arresta, l’attacca a mo’ di traino al braccio del vecchio.
Abbindolato, stordito il vecchio dà un passo. Nave che sullo scalo tentenna è in mare. I piccini lo impugnano; gli si agganciano alle tasche, gli si appigliano ai pantaloni; lo tengono, gli danno l’avvio.
Solo resistendovi, riesce il vecchio a salvare un po’ il decoro. Col capo, con le spalle, con ciò che ha libero, chiede venia ai cari amici, denunzia nella piccina la rea, fa cenni verso il banco che regolerà, alla bella compagnia si promette tosto di ritorno: tutto in premura, trascinato, impuntandosi per strada.
Da vedersi questo minore che i grandi traducono a casa di corsa! Il discolo. L’han pizzicato all’osteria che, col pretesto degli altri, festeggiava se stesso.
Ma lui non lo sospetta; ha anzi l’aria d’acconciarsi ad una tirannia di marmocchi; procedendo a balzelloni per poco non gli scappa da ridere.
Fisso nell’idea d’essere il nonno, sin fuori, ad ammicchi, di dietro le loro spalle, dura a scusarli con tutti di ricondurlo: gli inflessibili nonni; serii essi soli tra la contagiosa allegria; la biondina addirittura corrucciata con chi ride senza ritegno.
Camillo Sbarbaro.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 26.12.34

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Citazione: Camillo Sbarbaro, “Il minore,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1898.