Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: Alessandro D’Ancona 1835-1935

Autore: Vittorio Cian

Data: 1935-02-20

Identificatore: 1935_111

Testo: Alessandro D’Ancona
1835-1935
Nell’autunno del 1855 un giovinottino, tarchiato e vivace, era venuto qui a Torino dalla sua Pisa, per iscriversi nella Facoltà di legge, a farvi, cioè, lo studente secondo la definizione di Arnaldo Fusinato. Ma sulle rive del Po lo avevano preceduto due suoi volumi, usciti, con le stampe del Pomba, l’anno prima: Opere di T. Campanella, accompagnate da un ampio « discorso sulla vita e le dottrine dell’autore ». La pubblicazione era dedicata, con parole calde di omaggio, a Terenzio Mamiani e il vasto proemio, che, per quanto esuberante e disordinato, dava la misura della energia, della volontà temeraria e dell’intelligenza del giovine scrittore, era tutto risonante di echi giobertiani, ricco di spunti vivaci d’attualità patriottica e conteneva una pagina ardente in memoria del grande filosofo e statista torinese spentosi in quei giorni a Parigi.
Il giovine precoce era Alessandro d’Ancona; uno studente di leggi sui generis, tentato e agitato da tre grandi passioni, la letteratura, il giornalismo e la politica, che nel suo spirito erano tre manifestazioni e quasi tre sinonimi di un’unica passione dominante per tutta la sua vita, quella della Patria. Più fortemente tentatrice, in quei primi anni, la passione pel giornalismo. Giornalista precoce, egli mandava corrispondenze allo Spettatore ed al Genio di Firenze e collaborava nella torinese Rivista contemporanea e nella Rivista fiorentina. Non è quindi a stupire se, lasciata, nel '59, Torino, e passato a Firenze, vi assumesse la direzione della Nazione, nella quale scrisse, oltre alla rivista bibliografica politica, articoli fieramente battaglieri d’intonazione ricasoliana. E finché visse alimentò questa sua passione, per la quale forniva a quando a quando articoli e saggi ricercatissimi a quotidiani e alle principali riviste, sovrattutto alla Nuova Antologia e alla Rassegna settimanale; e una sua propria rivista fondò e diresse per più anni dal 1893.
Del suo amore per le lettere diede prova fin dagli anni torinesi, come assiduo e fervente uditore alle lezioni dantesche di Francesco De Sanctis, col quale si legò d’amicizia, facendo conoscere nelle sue corrispondenze l’originalità grande di quella critica e cercandogli un degno editore. Non solo: ma nella Nazione propugnò la nomina di lui alla cattedra vacante di Pisa. Sennonché la sorte, genialmente capricciosa, dispose altrimenti; il De Sanctis, nominato a quella cattedra, divenne ministro e il giovine pisano, nominato dapprima suo supplente, meritò, l’anno dopo, d’essere assunto alla cattedra stessa con decreto firmato dal grande critico napoletano. Quella cattedra egli la seppe tenere degnamente, dopo uno sforzo intenso di preparazione, durante ben quarant’anni, dal 1860 al 1900; sì che da quella sua scuola e dalle lezioni dell’altra scuola consorella, la Normale Superiore, uscì tutta una schiera di discepoli insigni che gli fecero e si fecero onore.
Sterminata la serie ininterrotta dei suoi lavori, come si può vedere, fino a tutto il 1900, nella Bibliografia che precede la poderosa Raccolta di studi critici dedicatagli a festeggiare il 40° anniversario del suo insegnamento (Firenze, Barbera, 1901). Basti dire che si arriva col novero degli scritti, di vari calibri, a 724 numeri e, aggiungendo quelli degli anni seguenti, si sorpassa il migliaio.
Questo formidabile lavoratore volse le sue indagini accurate e severe, di carattere essenzialmente e solidamente storico, sovrattutto in tre vasti territori della nostra letteratura, allora in gran parte da dissodare: il periodo delle origini e dei primi secoli, la poesia popolare e il teatro antico.
Verso il '90 lo vinse, nel presentimento delle nuove tempeste politiche, la nostalgia degli anni battaglieri della sua giovinezza, onde dal giornalista precoce e dal patriota d’un tempo, rinvigoriti nell’esercizio degli studi severi, uscì l’indagatore amoroso, l’illustratore sagace della storia del Risorgimento. Anche in questo campo può ben dirsi un iniziatore ed un maestro; il quale non soltanto prodigò saggi, volumi, articoli intessuti di documenti nuovi, ma, all’occasione, seppe illuminarli, i vecchi ed i nuovi, in pagine di alta eloquenza, come nel discorso sopra il concetto della unità politica nei poeti italiani e nell'altro, memorabile, che si appunta al nostro Piemonte, sulla letteratura civile dei tempi di Carlo Emanuele, tenuto nel '93 ai Lincei.
Negli ultimi suoi anni, sceso dalla cattedra, ma conservando, per ben meritata eccezione, l’incarico dell’esegesi dantesca, e nominato senatore, premio tardivo delle sue nobili fatiche, avrebbe avuto il diritto di godersi un riposo sereno, fra i libri e la famiglia. Invece, allorché vide nella sua Pisa farsi minacciosa la propaganda sovversiva, non esitò a lanciarsi con foga giovanile nel fitto della lotta; e osò perfino, egli, più che settantenne, sobbarcarsi alla croce di Sindaco della sua città, divenuta un campo di tristi battaglie. Sette anni dopo, il 9 novembre 1914, egli si spense in Firenze, fra il generale compianto. Meritamente; che un grande esempio lasciava alle generazioni del secolo nuovo il giornalista, il maestro, il letterato del migliore Ottocento. E ben mostrò di comprenderlo Giosue Borsi, il campione mirabile di quella giovinezza nostra, che io ricordo studente in Pisa. L’indomani della morte del maestro pisano, il Borsi scriveva: « Gloria ad Alessandro D’Ancona! Fiorito all’alba dell’Italia rinnovata, spento mentre l’Italia sta per mostrare al mondo la sua giovine tempra vitale, nel momento più critico e più tragico della storia d’Europa, il vegliardo che compiè tutto il suo dovere, ci sia di monito e di esempio ».
Vittorio Cian.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 20.02.35

Etichette:

Citazione: Vittorio Cian, “Alessandro D’Ancona 1835-1935,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2020.