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Titolo: Isitantanee parigine: Mauriac

Autore: G.S.L.

Data: 1935-02-27

Identificatore: 1935_126

Testo: Istantanee parigine
Mauriac
Parigi, febbraio
Se lo avessi conosciuto nelle Laude natie, tra mare e foresta, gli avrei forse trovato l’aspetto di bizzarro volatile pensoso, qualcosa del dio metamorfosato in uccello, che affiora in lui solo a parlargli di pini e di resina, o di ville floreali in riva all’Oceano.
Francesco Mauriac possiede per natura quella che Copeau chiama la gamma delle espressioni; nel conversare assume aspetti sempre più vari e imprevisti, e nel suo chiaro appartamento d’Auteuil, il quartiere delle ricche eroine di Giraudoux, è il signore distinto che fugge al far dell’alba, sonnacchioso e inorridito, dall’albergo nauseabondo in cui, arrivato tardi nella notte, gli fu forza trascorrere qualche ora di spaventoso incubo; o lo scrittore che nella piega amara della bocca sembra rammaricarsi del fascino di Gide sulla giovinezza, se discorre di lettere; o l’austero giansenista, se discute di religione; umettato di pietà dagli occhi dolcissimi se parla invece il grande romanziere cattolico.
Romanziere? Preferirei novelliere, se il vocabolo non fosse caduto in dispregio. Cattolico? Indubbiamente. Nondimeno, più che i fedeli, sono i ribelli che lo attirano.
Lo si sente protestare appena, quando gli si dice che Teresa Desqueyroux, l’avvelenatrice, è Francesco Mauriac, dell’Accademia Francese. Preciserà: un’eroina letteraria è fatta non soltanto della purezza dello scrittore, ma anche delle sue impurità, delle scorie che la sua moralità, rassodandosi, rifiuta. Teresa Desqueyroux è un personaggio di romanzo? L’Autore ci dice di averla vista, adolescente, in una sala soffocante d’Assise, e di averla riveduta dopo, ammirando, sulla sua vasta e bella fronte, la mano un po’ troppo grande. Più che un personaggio letterario è una suggestione, la tentazione di Francesco Mauriac, la quale irradia onde di sensibilità e d’intelligenza: sappiamo del suo fisico che il giorno delle nozze i contadini la trovarono brutta; non vediamo mai un suo gesto, ma essa non è neppure dietro le righe del racconto, come in una gabbia; è qualcosa di preciso e d'impalpabile, come un pensiero malefico fattosi donna. « Le cose corporali non sono che immagini delle spirituali»; tutta l’arte di Mauriac è in questa massima udita al Liceo, un afoso pomeriggio d'estate, sfatto come un frutto troppo maturo.
Cattolico, ma di quelli che non tradiscono, aspettando beati che lo squillo delle celesti trombe annunzi il legno dei cieli: ogni occasione gli è buona per far sentire la sua voce (Inquisitore, fece il processo di Molière, Rousseau e Flaubert, grandi miscredenti). La sua voce ha un suono muto, l’estrazione di una corda. vocale l'ha arricchita di mistero.
Al recente « processo » di Andrea Gide non fu Mauriac a rimproverargli il suo silenzio, che ci varrà un giorno il detto « silenzio di Gide »? « Una conversione deve gonfiare l’anima, non disseccarla ». Con la crudeltà d'un fanatico e la scienza di un fanciullo gli abbiamo visto smontare l’opera del giovane laureato del Premio Fémina, Roberto Francis, che s’era permesso, dopo la vittoria, un prematuro elogio della fantasia. « Non so che farmene delle vostre fate, a me non interessano che le peccatrici ».
Leit-motif che gli è caro. Erra spesso per Parigi, tra il Café de la Paix e il Café Deux Mayots, devastato come un albero squassato dal vento, con quel suo volto, paesaggio umano sconvolto, desolato, in cui gli occhi hanno qualche dolcezza. Le nari, nel naso quasi semitico dei francesi di razza, aspirano sottili profumi di veleni. O forse odori d’incensi?
Incrociandolo è bene non avvicinarlo. Egli segue forse Teresa Desqueyroux. L’aveva lasciata a uno svolto di strada, tanti anni fa. e la pubblicazione d’altri libri, di Noeud de vipères, di Mystere Frontenac, poteva far pensare ch’egli l’avesse abbandonata (è nota la sua avversione ai romanzi fluviali) sul marciapiede, mentre si dava il rosso alle guancie, ridendo di « beatitudine ». Ma Teresa, che ritroviamo in Fin de la Nuit, uscito in questi giorni, deve pervenire alla luce della morte, a quella solitudine chiusa e colina in cui è salvezza.
« Avevo scritto anche la confessione di Teresa, ma l’ho stracciata perchè non avevo visto ancora il prete che avrebbe potuto riceverla dalle sue labbra ».
Ora quel prete l’ha visto a Roma. E Teresa potrà confessarsi, purificandosi.
Ho chiesto a una persona molto stimata per la sua pietà se non preferisse a Teresa un’eroina che aspirando al Signore vi aspirasse anche par des moyens qui viennent de Dieu mème, come avrebbe voluto Pascal. Mi ha risposto con parole di Mauriac:
— Che faremmo della nostra pietà? I puri interessano poco il Signore, e tra gli uomini non hanno storia.
G.S.L.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 27.02.35

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Citazione: G.S.L., “Isitantanee parigine: Mauriac,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2035.