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Titolo: Vita di padule

Autore: Pier Luigi Bucciantini

Data: 1935-05-01

Identificatore: 1935_193

Testo: Vita di padule
Appena l’alba apriva un occhio di luce sul crinale dei monti di levante e gli uccelli di becco schiacciato, a branchi, lasciavano il padule, lui, il beccaccino solitario, biascicando un bacio per l’aria, lasciava la pastura per ritornare al suo chiuso.
Era un beccaccino felciaione; di quelli grossi e tondi come palle di cera, rumorosi nel frullo, che amano le felci e la giuncola e che il più delle volte si trovano a coppie e solitari.
Furbo e malizioso, dopo tre anni di vita piena di disgrazie e d’insidie, si era dovuto fermare nel nostro padule che il terreno, grasso e pollinoso, non gli avrebbe mai fatto mancare la pastura.
C’erano sì, cani e cacciatori; ma c’era anche la macchia dove aveva trovato il suo chiuso cintato ad anello dal rovo e dal biancospino.
Nel giorno, nessuno poteva arrivare fin lì. Folto era il bosco e sconosciuta la piccola lama che si poteva vedere soltanto dal cielo.
Quella era la sua casa. Poteva pedinarci a suo agio senza nessun timore; accoccolarsi, nelle rigide giornate di dicembre, sopra a una gerba al solicchio, ricordare... ricordare...
Sì..., perché lui ora viveva solo e chissà fino a quando.
Era nato in Siberia e soltanto nel primo viaggio verso l’Africa gli era sembrata tanto bella la vita!
I vecchi genitori così bene avevano guidata la covata fra le riparate gole dei monti e nei queti paduli che tutti erano arrivati sani e salvi alle foci del Nilo.
Poi in Africa la famiglia si era dispersa. Ognuno se n’era andato per conto suo. Venuta la primavera i primi a sparire furono i maschi. Anche i vecchi si divisero, s’imbrancarono con altri beccaccini, e via, via tutti d’un volo verso nuovi amori, verso nuovi nidi.
Anche lui aveva preso la sua direzione. Il primo anno, nel viaggio di ritorno verso il nord, s’era accoppiato con una femminuccia in un padule della Maremma dove erano vissuti per qualche tempo tranquilli. Mai avevano sentito lo sparo d’una fucilata e nemmeno si erano visti gattonare da un cane da caccia. Il padule era ricco; beci e lombrichi gli erano perfino venuti a noia da tanti ne tiravano su, giorno e notte, ficcando il lungo becco di ebano dentro la mota e nel pollino.
E che voli lunghi e alti nel cielo di cobalto, mettendo a dura prova la forza della sua beccaccina che lo seguiva sempre anche nei capricciosi viaggi lassù per gli altipiani dell’Appennino dove la primavera faceva verzicare il grano nuovo e il frumento! La conduceva nei vallini bui dove tra le felci gemicava una polla; oppure lungo un rigagnolo d’acqua limpida e spumeggiante; oppure nelle fresche ontanaie che sapevan di borraccina e di funghi, dove altri beccaccini non potevano venire a contendergli la femmina a colpi di becco.
Non era un beccaccino battagliero. Neanche per sogno. Grasso e tondo com’era, amava la pace e la tranquillità a costo di andarsela a trovare in capo al mondo. Furbo, malizioso, poco socievole, tutta la sua scaltrezza l’adoperava per sé.
Eran sempre bastati pochi colpi di fucile, anche lontani, per farlo mettere in guardia e per fargli cambiare subito albergo. Distingueva a colpo, il galoppo e lo sciarbare di un cane in padule, e al primo pericolo si frullava silenzioso e basso e spariva in misteriose rimesse che nessuno, mai, era riuscito a scoprire.
Quel suo primo amore, però, alle volte l’aveva reso poco prudente. Si sa; al pari degli uomini, anche lui, così innamorato, una volta, gli era preso il momento del minchione. E per poco non gli costò la vita.
In un paduletto tutto fiorito dove la sua femmina si era buttata a capofitto, s’erano fatti puntare da un bellissimo setter che gli fece tirar dietro un paio di schioppettate, fortunatamente andate a vuoto.
Con tutto ciò l’amore era divampato più forte e pensarono al nido. Lasciarono la Maremma e si rimisero in viaggio verso il nord.
Volarono per un’intera nottata. Scartarono una burrasca che veniva su dal Tirreno, valicando l’Appennino verso l’Adriatico.
All’alba si trovarono sulle valli di Comacchio. Avevano fame. Girarono sul padule aperto, ma c’era troppa acqua per loro. Ripresero su, verso la collina. In un pianetto scorsero una macchia tagliata da un anno, illuminata dall’acquitrino, che faceva specchio alla prima luce del giorno e sembrò a loro una buona buttata.
Chiusero le ali e a capofitto si buttarono giù. Avevano indovinato bene. Era, per loro, come un lussuoso albergo d’una grande città. Ci trovarono tutto. I cinghiali che popolavano la riserva di confine, avevano pensato a questa coppia di beccaccini in viaggio di nozze. Nella nottata, grufolando, avevano rivoltato tutto il terreno, e, all’alba, c’era già pronta una ricca mensa di chioccioline e di beci.
Mangiavano con avidità, pedinando fra un cespuglietto e l’altro, contenti. La femmina aveva preso per uno stradello, lungo una siepetta bassa e fitta dove cercava di poter passare. Ad una piccola apertura, trovò sopra il terriccio nero la striscia bianca ed argentea d’una chiocciolina. Si ficcò sulla traccia. Passò, ma qualcosa la stringeva al collo. Un filo d’erba, forse? Provò a forzare in avanti... Si senti far male e stringere di più. Tornò allora indietro, nulla... Il laccio, ormai, non avrebbe ceduto. Presa dalla disperazione, cominciò a starnazzare. Il maschio che pascolava vicino a quell'insolito rumore, si frullò. Cercò per l’aria la compagna. Come mai non era volata? Dall’alto scrutò il paduletto e non scorse nessuno. E allora?
S’abbassò nuovamente sul padule; ci girò sopra chiamando e richiamando disperatamente la sua femmina, ma ella non rispondeva più. Riprese su nel cielo con un colpo d’ala, nervoso, come tant’altre volte aveva fatto per farsi seguire e desiderare, ma neppure allora si senti raggiunto dalla compagna.
Allora ritornò indietro e si buttò. Riprese a pedinare di qua e di là. Nulla. Trovò le tracce della beccaccina in una melmetta; si mise a seguirle, ma finirono presto. Ricominciava l’erba e l’acquitrino, poi la siepetta... Pedinò ancora perché sul terriccio nero gli parve di scorgere qualcosa di bianco. Si avvicinò sospettoso. No; non aveva sbagliato... La sua femmina era laggiù. Strozzata da una sottilissima cordicella di crino, mostrava a! cielo il suo candido petto di nozze.
Pier Luigi Bucciantini.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 01.05.35

Citazione: Pier Luigi Bucciantini, “Vita di padule,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2102.