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Titolo: Il dramma spirituale di Dostoevski nei ricordi d’un amico dello scrittore

Autore: T.Z.

Data: 1935-08-27

Identificatore: 1935_285

Testo: Il dramma spirituale di Dostojevski
nei ricordi d'un amico dello scrittore
Berlino, agosto
Quella che fu la grande tragedia intima di Dostojevski non è stata forse ancora messa sufficientemente in luce nei suoi aspetti più umani e più dolorosi. Il supplemento letterario della Frankfurter Zeitung reca sull’argomento alcuni interessanti particolari inediti tolti dal diario di un amico personale del grande scrittore, il giornalista Wassewolod Sergejewic Szolowieff.
Una sera Dostojevski stava chiacchierando con l’amico, quando ad un tratto interruppe la conversazione per chiedergli bruscamente che cosa pensasse di lui e di Tolstoi, se credesse sul serio che, come asseriva la voce pubblica, egli, Dostojevski, fosse invidioso del « rivale »; quindi, senza attendere risposta, cominciò a parlare: « Sì — disse — è vero, io lo invidio, ma non così, o non precisamente così come in generale si crede, lo invidio per le circostanze in cui egli può lavorare. È duro per me dover lavorare sempre assillato dai creditori, sempre tormentato dal bisogno di denaro, dal pensiero di non avere mai il necessario per mantenere la famiglia. In questi giorni ho riletto L’idiota: ci sono delle pagine bellissime, bisogna riconoscerlo, delle scene straordinarie, ma ho anche visto quanto vi sia di imperfetto e di affrettato. Ed è sempre così, anche adesso coi Ricordi della patria: bisogna buttar giù di furia, a precipizio, sempre di corsa, per via di quei maledetti anticipi che l’editore non mi vuol dare se non gli porto almeno cento pagine. Sempre così, senza mai avere il tempo di elaborare, di maturare, di rivedere. Io non ne parlo quasi mai, ma le assicuro che è un’angoscia intollerabile. Tolstoi, invece, può lavorare con calma, senza preoccupazioni per il domani, rileggere quello che scrive, correggere, rifare. Ecco perchè l'invidio ».
Era vero. L’assillo del denaro non gli ha mai lasciato pace, ripercuotendosi gravemente sulle sue opere. Doveva lavorare a getto continuo e quasi mai gli rimaneva il tempo di rileggere quello che scriveva, tanto che egli stesso non fu mai soddisfatto di nessuna delle sue opere.
Faceva fatica a lavorare e lavorava lentamente. Percepiva quasi intero il compenso di un lavoro quando ne aveva scritto appena le prime pagine: l’opera era attesa con impazienza, l’editore urgeva e sollecitava. Dostojevski mandava la prima parte e poi, nella furia dello scrivere a quel modo, dimenticava quasi quello che aveva scritto. Ma intanto quelle pagine erano già stampate e non c’era più tempo di fare correzioni, di modificare quello che nell’ulteriore processo di costruzione gli appariva bisognoso di rifacimento, di saldare gli elementi dei caratteri, frettolosamente schizzati, con gli elementi successivi sgorgati dall’evolversi della vicenda romanzesca. Dostojevski lo capiva e questo era il più grande tormento per la sua anima di artista: lo capiva e nello stesso tempo si augurava disperatamente che gli altri, il pubblico e la critica, non se ne accorgessero. Ecco perchè gli elogi gli davano una gioia così smodata e quasi puerile: lo confermavano nella sua illusione. Ma se vedeva che qualcuno avesse notato quelle deficienze che egli per il primo aveva visto, diventava furioso e si sentiva offeso e ferito nel profondo. Quando uscì Il giovane, lo Szolowieff ne pubblicò una recensione su una rivista dove, accanto a molti giudizi lusinghieri, venivano anche rilevate le deficienze del lavoro. Alcuni giorni dopo andò a trovare Dostojevski. il quale lo accolse come un uomo che gli avesse recato atroce offesa. La conversazione assunse subito un tono così violento che il giornalista prese il cappello e fece per andarsene, ma Dostojevski lo trattenne e, dopo avergli chiesto scusa, cominciò a giustificarsi e a dimostrargli che i suoi appunti critici erano sbagliati. Il punto controverso, che aveva offerto materia a questi ultimi, era la figura di un personaggio del romanzo, tale Macario: Dostojevski parlò per tre ore intere, sezionando il suo personaggio, sviscerandone l’anima e il cuore, tutti i più misteriosi recessi della psiche: «Ecco, concluse, chi è Macario, ed ora dovrà ammettere di essersi sbagliato e di non avere capito niente».
Il giornalista rimase un po’ pensoso, ma poi preferì dirgli la verità: di tutto quanto aveva detto, spiegò, nel romanzo non vi era alcuna traccia: Dostojevski l’aveva pensato, ma non messo in carta. « L’effetto che gli fecero le mie parole, scrive lo Szolowieff, mi fece pentire della mia sincerità: Dostojevski si fece pallidissimo e cadde a sedere, gli occhi chiusi, il capo stretto tra le mani. Rimase in quella posizione alcuni minuti e quando rialzò il viso vi lessi un dolore così crudele, una sofferenza e un'angoscia così desolate che ne fui commosso. Dostojevski trasse di tasca il fazzoletto e, comprimendoselo sugli occhi, scoppiò in un pianto disperato ».
T.Z.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 27.08.35

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Citazione: T.Z., “Il dramma spirituale di Dostoevski nei ricordi d’un amico dello scrittore,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2194.