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Titolo: Il nano

Autore: Mario Sobrero

Data: 1936-02-26

Identificatore: 1936_41

Testo: Il nano
Tra i ragazzi che davanti al liceo riempivano la via entrando od uscendo dalle lezioni, vi era un cosino che sembrava un bimbo di due anni vestito da uomo, un vero scherzo di natura, un nano. Come tutti i nani, aveva un muso di vecchietto, grinzoso, ed un’aria d’importanza. Teneva i suoi libri sotto il braccio, vestito bene, con le piccole mani inguantate, i piccoli piedi ben calzati, la cravatta annodata con cura intorno ad un alto solino. Negli studi era d’un anno innanzi a me; lo vedevo soltanto nei corridoi o per istrada; non ci salutavamo neppure. Perché studiava? Ed i suoi genitori che cosa pensavano di farne? Non capivo. Egli, invece, andava e veniva come uno che sapesse perfettamente ciò che doveva fare al mondo e quale sarebbe stato il suo avvenire. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo, ma avvicinarlo non avrei osato, come se in una simile mossa il compagno dovesse per forza sentire solamente la curiosità per un fenomeno vivente. Del resto, non era mai solo: si accompagnava coi ragazzi più anziani della sua classe, in mezzo ai quali faceva udire la vocetta, discorrendo e camminando come un adulto.
Non ho mai domandato come si chiamasse. Forse, perchè non mi pareva vero che avesse nome e cognome; o perché pensavo non gli servisse a nulla d’averli.
Passato all’università, seppi che il nano continuava gli studi e che s’era iscritto nella facoltà d’ingegneria. Niente riusciva strano quanto l’immaginare che volesse davvero darsi ad una professione; si finiva di sospettare ch’egli non si fosse mai accorto d’esser tanto diverso dagli altri e che nessuno glielo avesse mai detto. Lo rivedevo a teatro, nei caffè-concerti; credo perfino d’averlo incontrato nei veglioni: sempre tra compagnie di studenti, e s’aveva l’impressione che questi giovani, per fare uno scherzo di cattivo gusto, portassero con loro un bambino. Ma, ciò che è più sorprendente, non ho mai visto che nessuno dei compagni lo trattasse come uno differente da loro né che gli estranei, il pubblico, la gente delle vie lo guardassero come si guardano i fenomeni del genere. Poi, non mi capitò più davanti agli occhi, per tutti questi anni.
E ieri l’ho incontrato di nuovo. Nel viso è forse un poco più vecchietto, ma nella persona è sempre lo stesso bambino vestito da grande; cammina sempre duro duro, come scimmiottando gli uomini seri. La sola diversità sta in questo, che i compagni coi quali ora camminava per un viale, essi sì erano uomini d’una certa età ed avevano l’aspetto di chi ha ormai fatto molte cose e s’è guadagnato del denaro, ha raggiunto una così detta posizione sociale. Mi sono voltato, con le dovute cautele, a guardarlo. Egli continuava la sua passeggiata, facendo i passi più lunghi che poteva, girando il capo in su, da un lato e dall’altro, a discorrere coi compagni. Io tornavo colla mente a quelle mattine, quando dalla porta del liceo sgorgavano i fiotti degli studenti e la strada si empiva d’un rimescolìo di ragazzi. Tanti avvenimenti sono successi, il mondo è tanto cambiato, ed egli era sempre qui, il nano, tale quale lo vedevo allora.
Adesso mi rincresceva veramente di non essere in relazione con lui. Poterlo ritrovare proprio come un antico compagno di scuola, mi avrebbe interessato; passare un’ora insieme e farmi dire che cosa sono stati per lui questi anni, la parte della vita che abbiamo vissuta, l’esperienza che abbiamo fatta, e questo capitolo della storia universale. Ma non c’era rimedio. Bisognava lasciare che se n’andasse, coi suoi passetti, coi suoi amici, e rinunziar a sapere.
* * *
Ci ripenso ancora senza volerlo. Sarà davvero divenuto un ingegnere? Avrà costruito dei palazzi, dei ponti, degli stadi, egli così piccolo? Sarà salito sulle vertiginose armature delle fabbriche, avrà misurato con le gambine i malagevoli cantieri aggirandosi tra le gru e le macchine che impastano il calcestruzzo, avrà dato ordini ai massicci muratori? Non ce lo vedo. Od avrà lavorato negli uffici, arrampicato sopra un alto sgabello, adoperando il doppiodecimetro ed il tiralinee con un impegno di scolaro diligente, stendendo le corte braccia sopra i larghi fogli di tela lucida? Avrà percorso una carriera, sarà cavaliere? In questa condizione burocratica non mi va. Preferisco disegnarmi la sua figura con libertà di fantasia, a capriccio. Immaginare, per esempio, che ami molto il denaro e gli affari e che ne abbia fatti di grandi, furbo come un piccolo diavolo, stando sempre nascosto in uno stanzino, attaccato al telefono come un ragno al filo avvisatore della sua rete. Oppure che possieda vasti poderi e se ne occupi con mille bizzarrie e prepotenze di proprietario, facendo movere a suo talento squadre di coltivatori e manovali, attacchi di poderosi cavalli e di bovi giganteschi, trattrici, molini a vento. Od ancora che abbia ereditato un buon patrimonio, tutto cartelle e marenghi, e adagio finisca di consumarlo — curandosi soltanto che ce ne sia finché viva — in collezioni d’insetti rari, di vasi cinesi e di lettere di regine, da lui disposte e custodite in un magnifico e bislacco appartamento, su all’ultimo piano d’una gran torre.
In realtà è un enigma. L’idea d’un uomo tanto piccolo in mezzo alla solita esistenza di tutti fa nascere nel capo cento domande. Riferiti a lui, i fatti, le circostanze più comuni della vita prendono un colore di stranezza, e tutto diviene un problema da risolvere. I piaceri, intanto. So che fuma od almeno che fumava: lo rivedo con uno dei lunghi sigari sottili che allora eran di moda, piantato tra i labbruzzi. Riguardo all’amore può avere avuto benissimo delle amanti, e magari di alta statura, assai belle: niente è impossibile in questa materia. Non voglio però ammettere che abbia preso moglie ed ancor meno che abbia figli e di statura normale, perché un tal capo di casa, un simile successore del romano paterfamilias il pensiero si rifiuta d’accettarlo.
E come sarà il carattere? Buono, irritabile, generoso, maligno? I nani generalmente li vediamo come oggetti di spettacolo, sul palcoscenico, nei circhi equestri, nei poveri padiglioni delle fiere; e ci paiono compassionevoli creature a cui da fanciulli sia stato insegnato a moversi e parlare come grandi ed ai quali poi con arti barbare si sia impedito di crescere. Lo spettatore non attribuisce loro altra intelligenza, altra volontà, altra vita interna che quelle necessarie a rigirarsi davanti al pubblico, cantare le canzoncine colla vocetta e ripetere d’un fiato la loro storia: « Io sono nata da una principesca famiglia del Caucaso, mi chiamo Lily Mouche... ». Ma di uno come il mio, che non ha fatto la carriera del nano, che è rimasto nella vita di tutti e ci si move tanto a suo agio, conviene ben domandarsi come pensi, come senta, che cosa abbia dentro.
Il meglio sarebbe che a questo piccolo uomo fosse rimasta un’anima di bambino e che egli non si fosse mai stupito del fatto di non essere cresciuto. Ma è più probabile la verità tragica, che egli sia veramente un uomo, con un animo di statura normale, un uomo che sa di essere un fenomeno e che, pure dalla sua bassa altitudine, ha visto la vita conte tutti gli altri. Quante domande mi vengono, quante! Avrà fratelli, sorelle, giganteschi a paragone con lui? Gli sarà accaduto d’innamorarsi? Avrà avuto nemici? Avrà pianto? Penso ai giorni nei quali avrà camminato, con le sue gambine, dietro i carri funebri dei genitori. Avrà messo la bandiera alla finestra per l’Armistizio? Che penserà, quando vede di nuovo dei soldati partire per la guerra? Quale sarà la sua idea dell’universo, dove c’è la piccola pallina della Terra e su questa lui, così piccolo?
Il suo dramma mi sta diventando, nella mente, enorme; il suo esistere, un problema grandioso. Ed egli che cosa aspetta, ora, che vuole ancora? Ma forse, invece, vede ogni cosa semplice, tutto gli pare perfettamente logico, anche l'esser nato con questa misura e con questo destino.
M’invento di poterlo incontrare una volta da solo ed interrogarlo. Non so perché, lo vedo reagire come un bambino gravemente offeso: farsi rosso, dimenarsi, sputarmi addosso, tirarmi calci negli stinchi. No, non oserei. L’ultima speranza è che questo scritto gli cada sott’occhi e che egli mi scriva amichevolmente una lunga lettera dicendomi ciò che io desidero sapere.
Mario Sobrero.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 26.02.36

Citazione: Mario Sobrero, “Il nano,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2257.