Osservatorio: SI DICE O NON SI DICE? (dettagli)
Titolo: Osservatorio: SI DICE O NON SI DICE?
Autore: Lorenzo Gigli
Data: 1938-12-28
Identificatore: 1937-38_94
Testo:
Osservatorio
Si dice o non si dice?
Ogni volta che si inizia una discussione pubblica intorno alla purezza e proprietà della lingua si verifica il solito inconveniente: che dilettanti e orecchianti vi si intrufolano, e non par loro vero di portare vasi a Samo e nottole ad Atene; o, peggio, di confondere le carte in tavola e di rinfrescare il banale equivoco tra purezza e purismo che sono due termini diversi, anzi, talvolta, addirittura antitetici. È bene, e l'abbiamo detto, che il pubblico si interessi a tale genere di questioni; ma bisogna che, interessandosene, dimostri almeno un minimo di competenza e di preparazione. Diciamo subito che tra le lettere giunteci intorno a questioni di lingua da parte dei lettori della Gazzetta, molte rispondono a tali esigenze e pongono sul terreno pratico quesiti esaminati con serietà e preparazione. Non possiamo, per esempio, non associarci a queste considerazioni dello studente Mauro Magni di Milano: «... Mettere in singolare un verbo usato impersonalmente, nessun grammatico ha mai affermato che sia grave errore e neppure che sia barbarismo, o dialettismo. È anzi un costrutto italianissimo e bello, e semplice, e spigliato di cui troviamo esempi a bizzeffe e nei classici e nei moderni. Si vedano questi che il Magni cita dallo scritto di Francesco Mastelloni « Errori non errori »: Boccaccio, Decamerone, giornata 8, n. 2: « Non è ancora quindici di che mi costò da Lotto rigattiere delle lire ben sette ».
Dante, Inferno, XIX, 19: «L’uno del quali ancor non è molt’anni - ruppi io per un che dentro s’annegava ». Pulci, Morgante, II, 24: « Quivi i vivande di molte ragioni ». Boccaccio, Ninfale, st. 259: « Egli è ben quattro mesi che soletto givo... ». Passavanti, Specchio di vera penitenza: « Il vostro libro, già è molti anni... ».
« Dunque... i molti anni che si usa il verbo al singolare (nelle forme impersonali) anche con soggetto plurale.
« Ancora: usare in ufficio d’avverbio l’aggettivo è talora lecito e, non di rado, utile. (Quando per es. si voglia evitare una lunga serie di avverbi in - mente). E non è forse lecito adoperare riflessivamente il verbo nella voce passiva? È forse sbagliato il dire: « Queste sciocchezze si ripetono spesso? », invece di sono ripetute? E potrei dire, col popolo, « Si ripete spesso queste sciocchezze... », e col Villani: « Si cominciò le magioni. Si fece ricche giostre »; e col Vasari: « Il desco dove si vende le candele ».
« Giustamente alcuni grammatici tuonano contro il non pleonastico (il ferro è più utile che non l'oro). La grammatica del Morandi-Cappuccini osserva che nei paragoni il non è comune quando sia messo innanzi a un verbo (ho altre prove che non siano queste) ma é letterario negli altri casi (ho altre prove che non queste). Molto meglio è dire e scrivere: (ho altre prove che queste). Il Manzoni nella seconda edizione del suo romanzo tolse via in molti casi codesto riempitivo. Giuseppe Romanelli afferma (Lingua e dialetti) che il non in alcuni dialetti settentrionali viene inserito dove non c’entra affatto e cita, perchè siano evitati questi costrutti: « Questi traslati nella poesia dovranno esser più frequenti che non nella prosa », « Che lavoro ci volle prima che il Manzoni non trovasse la forma definitiva del suo romanzo... ».
A questo stesso lettore così ingegnoso nella discussione, faremo osservare che aiuola è registrato come diminutivo di aja nel Dizionario del Tommaseo: Dante, nel famoso verso l'aiuola che ci fa tanto feroci ha usato il diminutivo appunto per mettere il mondo in giusto rapporto con l’immensa distesa della rosa celeste. « La terra, così chiamata (aiuola) per la sua piccolezza », spiegano a questo punto i commentatori. E poiché, con quest’ultima postilla, siamo tornati al pratino della volta scorsa, Falqui ci rammenta il nostro antico pratolino per tradurre gazon, che, dice lui, servirebbe meglio allo scopo senza creare, per via del suono ben netto, incertezza o confusione (ma davvero che si potrebbe far confusione tra pratino e pretino). Entri dunque in ballottaggio pratolino con pratino: e poiché gli scrittori non seguono altra legge oltre quella del loro gusto, del loro orecchio, facciano loro, scelgano loro.
l.g.
Collezione: Diorama 28.12.38
Etichette: Osservatorio
Citazione: Lorenzo Gigli, “Osservatorio: SI DICE O NON SI DICE?,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2413.