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Titolo: Sogno diun giorno a S. Remo

Autore: Ernesto Caballo

Data: 1939-02-15

Identificatore: 1939_88

Testo: SOGNO
di un giorno a S. Remo
Quando i transatlantici faranno scalo e si aprirà ai panfili un porto idillico - Fantasia per un'autostrada, un campo di aviazione e una scuola di alianti - Storia di quattro personaggi dal mattino alla notte
(Dal nostro inviato speciale)
Sanremo, febbraio
Un porticciolo, almeno, ci vorrebbe per i bianchi panfili che seguono l'itinerario della serenità, i quali a Sanremo approderebbero almeno una volta l’anno, al tempo che gli incensi delle mimose oscillano da capo Verde a capo Nero. Occorre donare a questa città di fantasia una architettura magica, dal mare ansioso fino al quartiere vecchio, La Pigna, con mura di madreperla.
Sulla via Aurelia
Invece, i miei pensieri nella stazione, nè sontuosa nè razionale, battuta dai venti dei treni come ebbri, misurata da un ritmo che sta fra il giro ermetico della roulette e quello conchiuso di un bel verso di poeta: i miei pensieri nella stazione brulla diventano calcoli di probabilità, vincite al giuoco: ed è mattino, con me sono scese cento persone, senza valige, e senza palesi identità. Assonnate, han guardato al sole che ruotava sul mare, prima dell’impeto su per i cieli: uno vien chiamato da altri « ragioniere », nemmeno sbarbato di fresco, con un dolore che tarda a devastargli il volto; dopo, un uomo tutto in nero, con la cravatta tagliata come un pugnale, la camicia che sembra di celluloide, e il bambù nero che si flette sflette imperioso. Terzo, un giovanotto di eleganza assoluta, con un passo che si appesantisce uscendo dalla stazione, salendo verso corso Imperatrice, gl Casino. E una donna, l’ultima della centuria, i capelli color mimosa, una bellezza piena che segue le regole del giorno, e con la luce diventa intensa. Questi personaggi — le anime diventano tali, a San Remo — mi sono usciti dal cuore e sono saliti al falansterio dei giochi, mentre il sole volava per le stuoie distese sopra rose garofani viole, d’intorno, fino a Ospedaletti; passava al largo col passo da seminatore un transatlantico.
Proprio allora io imaginavo un turismo, per Sanremo, alla Verne, e cullandomi sugli asfalti della via Aurelia, nel corteo di floricoltori e di lattivendoli, gli schemi crescevano in me, con profumi e visioni di terre azzurre sul mare; mutava il colore della curva via Aurelia, come un arcobaleno. Propaggini di mura romane uscenti dal calcare finivano a case cantoniere dall’architettura essenziale, conferendo alla storia del paesaggio un senso eterno; mentre Sanremo bruciava nell’aria mattutina con forte odore di eucalipti; e altri suoi fedeli giungevano su automobili o bianche o d’oro, le più inverosimili, i bauli borchiati e scrigni alti sui tetti.
Monelli svestiti all’estiva, traevano dai cenci garofani accesi, li porgevano a quei doviziosi pellegrini: monelli che hanno cura della strada più dei cantonieri, usciti fuor da una povertà che esiste solo per contrasto, fra così plutoniche follie.
Gran luce pura si effondeva sul Monte Bignone, e un sibilo persistente dell’aria indicava la funivia, la più lunga del mondo.
Ma la riforma turistica che mulinava nel mio cervello, ebbe l’assenso degli amministratori di Sanremo, in uno studio vellutato dello stesso Casino, dove vige la fatale misura del gioco della roulette, e di un verso conchiuso. Se è un paese da romanzo, con rivoluzioni psicologiche e caroselli di fortune, Sanremo deve possedere le maliose architetture, e le irreali facilità di vita che caratterizzano l’estro della dea bendata.
Trovandosi alle soglie d’Italia, deve presentarsi come un salotto al forestiero, dove tutto sia un incanto; e allora occorre ribadire l’alleanza con Ospedaletti, anche con Bordighera; affidare ad Ospedaletti il compito delle magie floreali più sfrenate, farvi sorgere tra giardino e giardino parchi di divertimenti, ed impensate luminarie. E che Col di Rodi diventi un feudo sanremese, offrendo la propria galleria di quadri d’autore che oggi si avariano in tenebrosi umidi stanzoni.
Ma prima ancora, il restauro della stazione, la realizzazione del piano del ferro, che permetta di rettificare alcuni corsi e passeggiate marine; e il doppio binario indispensabile per facilitare le comunicazioni, specie col Piemonte, ed in particolare aspetto con la provincia di Cuneo. Esiste a tale riguardo anche un progetto di autostrada da Briga Mare che, attraverso il colle Ardente, scenda a Triora, Taggia, Imperia: audace via che svelerebbe nuove bellezze delle Alpi Marittime. Eppoi, una revisione di orari ferroviari, l’istituzione di littorine che dimezzino il tempo impiegato, per esempio, da Torino.
Festopoli
Infine, un problema di viabilità che ne nasconde un altro, estetico: l’illuminazione dell’Aurelia, fatta sapientemente, fino a Ponte San Luigi, la quale conferirebbe un fascino notturno al nostro litorale. Dalla soluzione dei principali problemi nascerebbe quall’aura di sogno la quale deve avvolgere Sanremo. e renderla inimitabile.
Il transatlantico che ho visto al mattino, perchè non si àncora al largo, e permette uno sbarco, come avviene a Cannes?; eppure, certi frenetici nababbi scriverebbero volentieri nell’atlante delle loro tappe anche Sanremo: lo scalo, ci vuole, per il prestigio del luogo. Il porto attuale, niente altro che un’àsola, non consente nemmeno l’approdo degli sfarfallanti panfili, armoniosi come liuti, abitati da plutocrati splenetici, ai quali codesto clima darebbe conforto: eppure, io sognavo una ala molteplice di panfili, a semicerchio davanti Sanremo.
Dopo, il progetto diventa lirico; un aeroporto discreto, nei pressi: la piana di Taggia ne offre l’occasione, e gli apparecchi da turismo verrebbero a ronzare su queste aiuole; e, per finire con le altezze, valorizzare la funivia di Monte Bignone che porta a vertiginosi belvederi, e prospetta una sede di scuola per alianti (son tutte idee dei dirigenti turistici sanremesi), istituti elioterapici tra valli sprofondate nelle serre e nelle fantasie.
Ancora, per le risorse estive, un teatro all’aperto che trovi nella dignità della natura le linee dell’arte, e uno stabilimento balneare.
L’idea di organizzare un carnevale il quale nulla abbia da invidiare a quello caotico e americano di Nizza, è in via di realizzazione con la Festopoli che proprio in questi giorni riceve il crisma del successo.
Durante molte ore ho osservato grafici, letto relazioni che finiscono in apoteosi, davvero. Uscivo dopo il tramonto, sotto un cielo rosso a un angolo, nero inchiostroso dall’altro, cielo panico e da giuoco di Sanremo.
Uscivano pure dagli alberghi le genti ricche con la costellazione di diamanti sulla pelle stanca: si stravaccavano sulle carrozzelle, cominciando le cabale per l’imminente nottata.
Ma l’aria si faceva cordiale, scendendo a filoni dai monti fioriti; a lungomare vidi molta gente pura che ammirava i mutamenti dell’acqua la quale ora sembrava leggerissima e innalzantesi come saponosa. La costa ligure in qualche minuto di suprema chiarezza rivelò le sue linee muliebri caste; le terre suonarono come allegri metalli. Partivano i pescatori di Sanremo, gloriosamente a brindelli, creature della Pigna, del quartiere alto, che soffrono di più ad attraversare corso Imperatrice, gremito di seni giovani e d’oro, che l’arco del Tirreno.
Gli ignoti compagni
Rientro nella stazione, stanco soltanto per il viaggio di fantasia; fedelmente, gli ignoti compagni del mattino mi attendono. La barba ora adombra il viso al ragioniere, in lui il dolore ha sussulti crescenti, ma è un umanissimo dolore che non pare abbia cause in delusioni di gioco. L’uomo in nero ha lo sparato sempre senza macchie, tuttavia al suo equilibrio manca il vero indice: il bambù; talvolta muove il braccio nervoso, dopo l’appoggia al muro. Il giovanotto è l’ultimo a sopraggiungere: sembra immutato, anzi sorride, ma quando porge al bollo il biglietto, mostra la giubba sulle reni tutta accincignata, coi solchi che — io penso — il ferro da stiro non potrà cancellare: un dorso come quello dei travetti, i quali nel delirio di ufficio si stropicciano contro la sedia, e pace non v’è.
Silenzioso, come sulla neve, giunge il treno: — perchè si è nel rumore dei nostri pensieri?
Quando dopo mezz’ora mi alzo, in uno scomparto vicino, accanto a gente che significa nulla, riconosco la donna del mattino che dorme alla luce azzurra, la borsetta sul grembo: da bambina serenissima. e muove le labbra come chi si addolcisce. Par viaggiare da lontano, da un paese di statue felici; e sulla gola mostra una perla che ha il lampo di Espero. Gli altri la vegliano senza ricordi.
Ernesto Caballo
Panorama sanremese

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 15.02.39

Citazione: Ernesto Caballo, “Sogno diun giorno a S. Remo,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2505.