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Titolo: Pezzi rari di una collezione dannunziana

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1939-03-01

Identificatore: 1939_99

Testo: GABRIELE D’ANNUNZIO
nel primo annuale della morte
Pezzi rari
di una collezione dannunziana
Il «laniero per suo spasso libraio». - Reincarnazioni di Ginevra e d’Isotta - Barbara Leoni all’eremo di San Vito - Elda, o il giovanile amore - Una lettera della Duse al marito
I documenti che pubblichiamo in questa pagina commemorativa appartengono alla collezione di Mario Guabello, industriale biellese, una delle maggiori raccolte del mondo di cimeli e ricordi dannunziani. Illustrandola in un catalogo ragionato, stampato in sole ottanta copie e oggi rarissimo, il Guabello si presentava come « laniero per suo spasso libraio, o se vuolsi libraio per sua pena laniero ». C’è una punta di ironia in questa dichiarazione di pena, ma senza malizia. Certo a molta gente pratica e dabbene della città e della regione sonante di macchine tessili, deve sembrare una caccia di farfalle sotto l'arco di Tito la fatica di raccoglitore esercitata per lungo ordine d’anni e con risonanza, come vedremo, europea, da un uomo nato e cresciuto in un ambiente e con un destino di tutt’altro genere. « Che Biella sia inconsciamente retta da un fato dannunziano? » si domandò un giorno il Guabello. E se lo domandò precisamente allorquando ai numeri della sua raccolta si aggiunse l’opuscolo d’una quindicina di pagine in carta a mano contenente la traduzione latina dell’ode dannunziana a Victor Hugo, stampato nel 1902 a Milano « in aedibus Fr. Treves »: la versione è di Alfredo Bartoli, ed è datata, guardate caso, da Bugellae, che è il nome latino di Biella (compiuta probabilmente durante un soggiorno del Bartoli nella industre città piemontese).
Inizio di una passione
Questo per quanto riguarda il fato. Resta da chiarire il caso del libraio; ed è semplice: non si tratta d’un titolo onorario che il Guabello si attribuisca o d’una aspirazione del suo spirito: egli fu libraio davvero, e per un periodo di cinque anni, dato un addio alle lane e ai telai, aperse e gestì in Biella una libreria, dove fin dal principio lo scaffale dannunziano fu il beniamino del proprietario. Lo attesta il prof. Trompeo nella prefazione al citato catalogo, aggiungendo che la ricerca dannunziana finì per assorbire la migliore attività del Guabello: « le edizioni originali e le rare vi presero via via il posto di quelle usuali, gli esemplari con dedica o appartenuti a persone che in qualche modo influirono sulla vita e sull’arte di Gabriele vi si fecero sempre più numerosi, vi si inserirono autografi di grande interesse, anche filologico, apografi curiosi, ritratti, caricature e, quel che forse più conta, di capitale importanza per la biografia del poeta: se non tutto è rimasto al Guabello di quanto gli è passato tra le mani, anche quel che non è più suo ha lasciato un segno tangibile nella sua raccolta o una notazione preziosa nel suo archivio. Il modesto scaffale è diventato insomma una biblioteca di raffinato collezionista, anzi la più ricca collezione che esista di rarità dannunziane ».
Tutta l’opulenza dell’avventura di Gabriele d’Annunzio passa nella raccolta Guabello, quale il poeta la profetizzò nei versi giovanili ch’egli riprese quasi alla lettera dal poemetto allegorico L’Intelligenza attribuito a Dino Compagni:
Evvi Ginevra ed Isotta la blonda, e sonvi i pini e sonvi le fontane, le giostre, le schermaglie e le fiumane, foreste e lande, e re di Trebisonda...
Di reincarnazioni di Ginevra e d'Isotta, e di re di Trebisonda. e di paesaggi incantati di selve e di fiumi, e di torneamenti di cavalieri l’avventura di Gabriele è piena, ne splende la sua poesia. La raccolta di Mario Guabello esplora tale avventura nello spazio e nel tempo; il richiamo è d’una suggestione che ha pochi confronti. Entriamo dunque a vedere.
Uno dei primi incontri è con la donna misteriosa che il poeta nominò via via Barbarella, Jessica, Vittoria Doni, Regina di Cipro, Angelo Nero, ecc.: la ispiratrice del personaggio di Ippolita Sanzio nel Trionfo della Morte: misteriosa fino al 1935, fino alla pubblicazione del Libro Segreto, che ne rivelò la vera personalità; Ippolita Sanzio altri non è che Barbara Leoni, conosciuta dal poeta a Roma nella primavera del 1887, e diventata poi l’animatrice de' suoi più alti pensieri e la domina gentile di quel gruppo di poeti e di esteti che si raccoglievano intorno alla rivista Il Convito di Adolfo De Bosis: creatura di chiaro intelletto, bella d’una bellezza particolare che ricordava il ritratto del gentiluomo giovinetto del Bronzino, che si trova al Louvre, Barbara suonava stupendamente le musiche dei maestri secentisti e scriveva versi delicati, firmandoli talvolta Jessica. Adesso che il Libro Segreto ci ha dato la chiave del personaggio di Ippolita Sanzio identificandolo in Barbara Leoni, ecco che acquista un’improvvisa luce di umana realtà un disegno che fu creduto sin qui una interpretazione grafica della protagonista del Trionfo condotta secondo le indicazioni che ne offre il romanzo: si tratta d’una sanguina di Giuseppe Nobili Vitelleschi intitolata Ippolita e inserita nel fascicolo speciale del Convito pubblicato a beneficio della Croce Rossa durante la guerra d’Africa del 1896; questa sanguina non è un ideale ritratto di Ippolita Sanzio, ma il ritratto autentico di Barbara Leoni che quel personaggio ispirò.
L’amore del poeta per Barbara Leoni ebbe inizio dopo un concerto, proprio come racconta il Trionfo della Morte; ma la prima traccia di questa donna nella poesia dannunziana la troviamo in una lirica del 1885, Il Paradiso perduto (diventata più tardi La Gorgona), che comincia:
Ella aveva diffuso in volto
il pallor cupo che adoro.
Storia di un autografo
L’influsso di Barbara Leoni sull’opera di Gabriele d'Annunzio è straordinario, e se ne trovano traccie in molti suoi libri, persino nel Notturno. Su questa creatura d’eccezione e sui suoi rapporti col poeta il Guabello ha raccolto un carteggio che si propone di pubblicare un giorno e del quale ha anticipato qualche notizia in un opuscolo intitolato Barbara la bella romana, il grande amore di Gabriele d’Annunzio (1935), accompagnandola con l’elenco delle poesie e delle prose direttamente ispirate da Barbara: almeno quindici ne L’Isotteo e la Chimera, venti o ventuno delle Elegie Romane, diciassette nel Poema Paradisiaco, ecc. Poi, nei romanzi, i personaggi di Elena Muti e Maria Ferres del Piacere, di Ginevra in Giovanni Episcopo, di Teresa Ratto e Giuliana Hermil nell’Innocente, di Adriana Sanzio nell’Invincibile che diventerà poi Ippolita Sanzio del Trionfo. È questo il romanzo dove Barbara particolarmente signoreggia, la vicenda (eccettuato il tragico epilogo), è la sua, sua la stagione di piena felicità all’eremo di San Vito alle Portelle in Abruzzo. La relazione finì nel novembre del 1892, quando il poeta fu travolto dalla nuova passione per Maria Gravina, ben nota ai biografi. Ma l’amore di Barbara resta un fatto fondamentale della vita di Gabriele d’Annunzio.
Ad esso è legato un curioso cimelio della raccolta Guabello: un autografo dannunziano illustrante l'eremo di San Vito dove, come si sa, si svolge in gran parte e si conchiude il Trionfo della Morte; una lettera del poeta a Barbara, restata a Roma, per descriverle la « piccola casa rurale » dove lei l’avrebbe raggiunto.
Il Guabello trovò questo prezioso documento nel 1933, con altro materiale, e poiché proprio in quei giorni aveva avuto un colloquio a Parigi col ministro Barthou (fervente raccoglitore di autografi che amava collocare tra le pagine di edizioni pregiate delle opere degli scrittori ai quali gli autografi si riferivano, sì da formarne dei volumi truffés di documenti, di grande valore bibliografico), accettò dal Barthou l’incarico di munire di qualche autografo inedito un esemplare di una edizione pregiata della traduzione francese del Trionfo della Morte: il Guabello scelse appunto per questo scopo l’autografo con lo schizzo dell’eremo e si riprometteva di riportare il volume al Barthou, quando questi cadeva vittima a Marsiglia dell’attentato terrorista al fianco del re Alessandro di Jugoslavia: per tanto il volume francese del Trionfo è rimasto nella collezione Guabello. La lettera del poeta (20 luglio 1889) consta di sette facciate ed è datata da Francavilla: è riportata in parte nel romanzo, là dove si descrivono i luoghi che attendono Ippolita Sanzio sul « promontorio dei Sogni ».
Amore d’adolescente
Abbiamo illustrato uno fra i tanti tesori della collezione Guabello; e molti altri meriterebbero un lungo discorso, dalla genesi delle Elegie Romane, che pure si lega all’amore di Barbara (si vedano, dello stesso Guabello, gli appunti sulle Elegie, 1936) al famoso trittico delle Sibille di G.A. Sartorio. Ma soprattutto i carteggi costituiscono il centro dell’attività del Guabello, il quale, guidato dall’interesse portato alle cose dannunziane fino dai primi anni, orientò le proprie indagini sulle lacune riscontrate negli studi e nelle biografie di Gabriele d’Annunzio: gli sembrava che gli uni, anche i più acuti, non vedessero tutti gli aspetti della personalità del poeta, e che le altre non indovinassero il lungo patire umano che produsse il doloroso « ciclo della Rosa » (1888-94); vedeva insomma troppo trascurati il periodo della giovinezza e le opere che gli appartengono, precisando (nelle prime pagine dell’opuscolo su Barbara) risultargli i biografi « pochissimo informati sui particolari di questo periodo specie per quanto si riferiva alle ispiratrici o alla ispiratrice di tale opera multiforme, in prosa ed in verso, e varia solo nelle apparenze, ma eguale e quasi monotona nel contenuto, perchè a fondo autobiografico ». C’era dunque un problema aperto che bisognava risolvere, e due vie parvero al Guabello adatte per raggiungere lo scopo: la precisazione della vasta bibliografia e la ricerca degli autografi e degli eventuali carteggi. Movendo da queste premesse secondo un piano preciso nella sua mente, il ricercatore giunse a singolari scoperte: ed a lui toccò la fortuna di trovare i carteggi a Barbara Leoni, alla Goloubeff, alla gentile giovinetta Elda Zucconi, all’editore Treves...
Tra le scoperte del Guabello, figurano appunto 231 lettere d’amore, scritte tra il diciottesimo e il diciannovesimo anno d’età del poeta e indirizzate a quella compiuta donzella la quale, camminando su per l’argine erboso dell’Affrico, tenendo il giovinetto per mano, portava come una ghirlandetta il suo nome, Elda Zucconi, le cui iniziali E.Z. si leggono accanto alla data 15 aprile '82 sulla prima pagina del Canto Novo nell’edizione Sommaruga. Sono le lettere citate da Angelo Sodini in Ariel armato e da Ugo Ojetti nel tomo IV delle Cose viste, e non formano l’intiero carteggio con la fanciulla toscana, perchè una parte di esso si conserva negli archivi del Vittoriale.
E.Z. nelle iniziali del Canto Novo; Lalla nei versi del suo giovine poeta:
Venne una bianca figlia di Fiesole, alta e sottile, da l'occhio d’aquila...
In queste lettere, preziosa testimonianza della formazione artistica del poeta, scorre un senso idillico della vita, circola un’aria di primavera che incanta, Gabriele è ancora il buon fanciullo poeticamente evocato nella Chimera e le espressioni delle lettere sono da prima innocenti, e casti i pensieri. A mano a mano, però, che l’epistolario progredisce, l’amatore sentimentale si trasforma, i delicati sogni poetici si fanno voluttuosi, le frasi più audaci... L'ultimo foglio ha la data del 23 gennaio 1883. L’anno dopo, Gabriele d’Annunzio scriveva il Piacere.
La Marchesa di Rudinì
Nella raccolta Guabello altre ispiratrici del poeta sono, sia pure meno largamente, rappresentate: per esempio la marchesa Alessandra Carlotti di Rudinì è vista con quattro lettere dirette tra il 1905 e il 1910 ad Annibaie Tenneroni. S’incontrarono, Alessandra e Gabriele, nel 1904, « annue mirabilis »; è l’anno della Figlia di Jorio, e da poco era uscito Alcyone; e subito nacque tra loro una passione che si incoronò di poesia tra i clivi e i ruscelli toscani e che invano là Duse, temibile rivale, contrastò. Fu vinta in una lotta disperata, e dovette cedere. Il poeta pensò persino a sposare la marchesa Alessandra, divorziando in Svizzera dalla Duchessa di Gallese (la quale, in una lettera del 1905, rinunciava agli « alimenti » e ad altro dovutole per sentenza del tribunale): e questo suo proposito confessò più tardi il poeta in persona a Silia Buoncompagno, briosa bellezza napoletana, che ne fece confidenza al Guabello. L’avventura che stava per diventare un vincolo si sciolse da sè intorno al 1909. Da allora i due non si rividero più. In una lettera dell’estate 1911 al Tenneroni, la marchesa, dalla sua villa di Garda, chiede l’indirizzo di Gabriele: « Ho il desiderio di rimettere nelle sue mani, come è dovere di delicatezza, un manoscritto che egli mi donò e che qui da me è un tesoro sotterrato... ». Pochi mesi dopo, Alessandra di Rudinì si ritirava in un chiostro. Morì carmelitana nel 1931.
Poesia a Re Umberto
Altri cimeli curiosi, alla rinfusa: uno studio di Sartorio per l’acquaforte dello Zodiaco, descritto dettagliatamente nel Piacere (il viso della donna è identificabile in quello di Barbara Leoni); quattro cartelle di prima stesura d’un brindisi pronunciato la sera del 18 settembre 1890 al banchetto che la gioventù di Faenza offerse al D’Annunzio, allora caporale al reggimento di cavalleria « Alessandria » di stanza nella città romagnola; le sette cartelle autografe contenenti tre Odi Navali, provenienti dalla biblioteca di Benedetto Croce, il quale le cedette al Guabello in cambio d’un codice contenente un poema sulla caccia composto nei primi anni del secolo XVI e dedicato al cardinale Pier Luigi Borgia; l’esemplare n. 9, delle venti copie di lusso del Fuoco accompagnato da una lettera di Eleonora Duse indirizzata al marito Tebaldo Checchi la quale risulta un commento a vari passi del romanzo. In esso si legge: «Ella sapeva quanto d’acre e d’impuro fosse in quella concitazione subitanea e come profondamente egli la considerasse avvelenata e corrotta, carica d’amore, esperta di tutto il piacere, tentatrice errante e implacabile ». E la lettera: « Ho rovinato materialmente e moralmente la nostra povera casa che tu solo a forza di sforzi avevi rialzata ed ordinata... Non mi credere corrotta... »; e poi, naturalmente, centinaia di esemplari di edizioni originali, in tutte le tirature, truffées di autografi e di documenti, e tra esse, rarissimo, l’opuscolo contenente le poesie che i due alunni Vittorio Garbaglia e Gabriele d’Annunzio del Collegio Cicognini di Prato dedicarono al Re Umberto nel giorno suo natalizio, il 14 marzo 1879, e venne stampato dalla tipografia Giachetti sotto una copertina giallina con nel mezzo il titolo rosso « Omaggio e ricordo »...
Torniamo per un momento a Barbara Leoni, della quale la raccolta Guabello possiede parecchi autografi. Nell’interno della copertina posteriore d’un opuscolo del 1888, stampato dalla Tipografia della Camera dei deputati e contenente i sonetti Pro Anima, si legge una strofa in lingua inglese scritta di pugno dal poeta con accanto la versione italiana stesa da Barbara:
Barbara, cantando:
Dormi, dormi, dimentica la tua pena: la mia mano è sulla tua fronte, il mio spirito è sul tuo cervello, la mia pietà è sul tuo cuore, povero
amico!
Congedo da una donna
Un sonetto del Poema Paradisiaco (O Giovinezza) è tutto di pugno di Barbara, ad eccezione del titolo; la cosa non deve stupire: Barbara era la naturale copista di Gabriele all’eremo di San Vito: il Trionfo della Morte ce la presenta, in veste d’Ippolita, così modellata sulla falsariga di Giorgio Aurispa, da assimilarne i pensieri i gusti i giudizi i dispregi le predilezioni e persino la scrittura. Ed è anche di pugno di Barbara la prima stesura, in quartine, di Villa d’Este delle Elegie romane; l’accompagna una lettera del poeta che segna un ideale appuntamento con l’ispiratrice: «Parto per Tivoli con gli amici che sai... Tornerò questa sera... A Villa d’Este penserò a te molto... Dalle cinque alle cinque e mezzo mentre tu leggerai questa lettera ti manderò tanti baci e tante carezze e tante parole di passione. La primitiva stesura dell’elegia venne in seguito assai rimaneggiata » ( cominciava così ):
Qual fremito giocondo scuote la selva, o Muse?
Qual forza a le già chiuse urne apre il sen profondo
le quartine furono ricomposte in distici leonini e questi da cinque portati a otto raggiungendo un effetto di musicalità così straordinaria che Enrico Nencioni giudicò non avere mai il D’Annunzio scritti versi più melodiosi. La terza quartina della stesura originale recava a tutte lettere il nome dell’ispiratrice:
Chi leva le canzoni, Muse, da tutte l'acque?
È quella che vi piacque, è Barbara Leoni.
Successivamente, nel manoscritto, sul cognome Leoni venne tirato un grosso rigo nero; e nell’elegia definitiva nome e cognome furono sostituiti da un altro bel nome cinquecentesco, Vittoria Doni, con cui Barbara rientrò nel mistero durato sino a questi ultimi anni.
Chiudiamo questa scorribanda tra gli autografi della raccolta Guabello con la breve apparizione d’un’altra donna. Essa aveva creduto di interpretare a suo modo, magari con ragione, la bellissima arietta del Poema Paradisiaco intitolata Invito alla fedeltà; e il poeta, in una lettera, cerca di persuaderla che s’è sbagliata:
«... tu mostravi di capir male i miei versi, quell’Arietta in cui è una tristezza mista d’invincibile
passione.
« Nulla forse per noi sarebbe nuovo ».
« Nulla sarebbe nuovo, se io o tu incominciassimo un nuovo amore. E l'Arietta era scritta a punto per rimuovere l’amante da un amore nuovo e per persuaderla a rimaner fedele all’antico... ».
L’Arietta era, insomma, un congedo. E la lettera lo rinnova e conferma con una finezza che non può ferire.
Lorenzo Gigli
Frontespizio della rarissima edizione della Francesca da Rimini stampata nel 1902 in America da Vincent Ciocia: precede l’edizione italiana Treves

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 01.03.39

Citazione: Lorenzo Gigli, “Pezzi rari di una collezione dannunziana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2516.