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Titolo: La città che si liquefa

Autore: Sando Volta

Data: 1939-04-05

Identificatore: 1939_123

Testo: Viaggio nel paese proibito
La città che si liquefa
Sole e pioggia contro Hodeida - Il fiorente commercio del caffè, della dura e delle pelli - Due testimoni davanti al giudice
(Dal nostro inviato speciale )
Hodeida, aprile
Hodeida non mantiene la promessa che le sontuose facciale dei suoi palazzi bianchi a picco sul mare avevano fatto al momento dello sbarco. Dietro quella cornice effimera, la città si sgretola sotto un sole implacabile.
La città, che ha gli edifici interamente costruiti in mattoni crudi tenuti insieme da un impasto di fango, è in istato di perpetuo disfacimento. Nonostante gli sforzi per cercar di salvarli, i muri crollano a poco a poco ingombrando le strette vie con cumuli enormi di rottami e di polvere farinosa.
Promesse non mantenute
Piove poco a Hodeida; ma quando si dà il caso di un periodo di piogge più intense avviene che interi caseggiati si liquefanno sotto l’acqua come caramelle. Cosi qualche mese fa la pioggia ha distrutto perfino una delle fortezze disseminate lungo la costa a difesa della città. E il fatto più straordinario è accaduto ad uno dei due torrioni di Bab el Mescerif, che è la porta principale della città: occupato dal corpo di guardia, l’acqua che gli ascari buttavano per terra dopo le continue abluzioni ha finito per corrodere la torre alla radice e per farla crollare. È bisognato ricostruirla e dare severe disposizioni ai soldati perchè il disastro non abbia a ripetersi.
Così la città, che all’apparenza si direbbe molto antica, viene invece rinnovata quasi giorno per giorno; ma rinnovata senza cambiare per nulla le vecchie tradizioni edilizie, ripetendo gli stessi motivi ornamentali moreschi, le stesse elegantissime musciarabie, gli stessi portoni e le stesse finestre di legno intagliato. E come la povertà del materiale, l’atrocità del sole, le pioggie, la polvere, i tarli e ognuno degli altri flagelli si incaricano di invecchiare a vista d'occhio le nuove costruzioni, Hodeida conserva immutabile questo fascinoso aspetto di città secolare.
Ma come la città non mantiene la promessa che aveva fatto allo sbarco, poiché sul porto sono allineati i suoi palazzi più ricchi, così ciascuno di questi palazzi non mantiene la promessa della sua facciata piena di magnificenza. Si varcano dunque portoni meravigliosamente lavorati per entrare in certi antri oscuri, senza pavimento, dalle pareti cadenti e le serrature sconnesse. È così che i più prestigiosi palazzi di quattro e di cinque piani hanno appena prezza dozzina di stanze abitabili.
Eppure Hodeida non manca di un suo particolarissimo incanto. Respinta ogni influenza europea, da secoli e secoli la città si mantiene intatta; la più remota civiltà araba vi è ancora viva e attuale. E passato il primo momento di sconcerto, noi andiamo a mano a mano abituandoci a questa vita, lasciandoci prendere sempre più dalle sue suggestioni.
La voce del suk
Perdiamo il tempo girovagando per le viuzze strettissime e tortuose, ingombre di rifiuti che soltanto i cani i gatti e gli avvoltoi provvedono a spazzare, e in qualche punto ostruite do gente che se ne sta beatamente sdraiata sugli angareb a fumare il narghilè. Passeggiamo fra le capanne di paglia dei sobborghi abitale dai negri scaricatori del porto di origine schiavi abissini. Passiamo ore nel suk dove la nostra presenza basta a formare assembramenti di centinaia di curiosi.
Fra nuvole incredibili di mosche che ricoprono la merce esposta in vendita fino a far diventare tutto nero, il suk è la parte più viva della città, il luogo dove la mattina si dà convegno l’intera popolazione. A parte i pittoreschi costumi che vi si ammirano, il quadretto del barbiere che rasa un cliente in mezzo alla folla o del pescivendolo che sbuzza i cefaletti assaltato da una turba di gatti famelici, a parte il divertimento di queste scene, nel suk di Hodeida si apprendono tutte le notizie del giorno e non soltanto per i fatti che riguardano il paese. Con una puntualità sorprendente le informazioni circolano, quasi sempre scrupolosamente esatte, cosicché senza bisogno di giornali basta far quattro passi per queste straduzze riempite d’ombra da una tettoia di stoie sbrindellate per mettersi al corrente di tutti gli ultimi avvenimenti del mondo. Il 28 settembre scorso, un quarto d’ora dopo la storica telefonata di Mussolini a Hitler, la voce era già corsa nel suk di Hodeida:
— Non ci sarà la guerra in Europa.
Ma se il suk rappresenta la parte più minuta e più pettegola della città, non bisogna dimenticare che Hodeida è un centro di traffici internazionali, lo sbocco del caffè della dura e delle pelli che si producono nello Yemen, e che per queste ragioni è permesso il soggiorno in città ai due italiani ai due inglesi e ai cinque greci che esercitano il commercio di importazione ed esportazione, insieme a una dozzina di mercanti arabi.
Queste ditte occupano i palazzi principali e i loro uffici in penombra risvegliano il ricordo di antiche stampe, risvegliano vecchi ricordi di letture dickensiane. In enormi stanzoni dalle pareti tinte di calcina color indaco, gli impiegati indiani fanno i conti intorno a vastissime scrivanie ingombre di fogli, di timbri, di mucchietti di caffè, qualche volta di pelli per campione. Mediatori entrano ed escono proponendo affari:
— Avete ancora disponibili quei cinquecento sacchi di caffè in transito ad Aden? Ho ricevuto una richiesta da Nuova York, ma per imbarco immediato e su piazza non ci sono partile pronte.
— Ho inteso dire che dovete spedire altra dura a Massaua. Se ve ne occorrono ancora duemila sacchi potrò consegnarceli alla fine della settimana prossima.
Talleri a pile e mucchi
Intorno al capo dell’azienda si è formato circolo. Arriva un servo con le tazzine di Moka fumante. Il capo dell’azienda ha in tasca le chiavi della casseforte e ogni tanto deve alzarsi, aprirla, e prendere qualche tallero per pagare delle fatture, la spesa di un telegramma, i facchini. I talleri costituiscono il fatto più meraviglioso nella vita di questi uffici: nello Yemen non ci sono banche, non ci sono banconote, non ci sono tratte, assegni circolari e cambiali, tutto si fa con la moneta sonante. Talleri di Maria Teresa, i grossi scudi d’argento, sono l’unico valore in corso, sia per comprare una gallina al mercato, sia per una partita di migliaia di sacchi di caffè. Se si pensa che ciascuna di queste ditte ha un giro di affari che supera in media i centomila talleri mensili, si fa presto a calcolare il numero di scudi che passano continuamente per questi uffici. In ognuno dei quali è collocata difatti, a una ventina di centimetri dal suolo, una piattaforma di legno dove vengono rovesciati i sacchi di talleri per le riscossioni più forti. I talleri vengono poi contati rapidamente e allineati in pile da venti ciascuna su una scrivania dalla quale li inghiotte la cassaforte. Per tutta la giornata è un tintinnio di monete d’argento.
Intorno al capo dell’azienda si è formato circolo. Si parla dello Yemen, dei suoi strani costumi. Ciascuno ha qualche cosa da raccontare al viaggiatore arrivato per la prima volta nel paese:
— Una volta vendetti un biglietto per Gedda a un certo Ali, un arabo dell’interno che andava in pellegrinaggio alla Mecca — dice uno dei presenti, agente di una compagnia di navigazione. — Ma, quando fu ritornato, questo Ali voleva che gli rimborsassi il prezzo del biglietto affermando che, arrivato a Port Sudan, glielo avevano fatto pagare un’altra volta. Naturalmente questo non era possìbile e cercai di farglielo capire in tutti i modi, ma non ci fu verso: finimmo davanti al giudice. Qui però la cosa si mise subito male perchè Ali presentò due testimoni a suo favore.
— Come potete testimoniare questo? — chiesi. — Voi due eravate a Pori Sudan?
— Noi? No, noi non ci siamo mai mossi da Hodeida.
— E allora come fate a sapere che quanto afferma Ali è vero?
— Perchè ce lo ha detto lui..
Pazzo senza manette
Certo i due erano in perfetta buona fede poiché la parola di un arabo ha valore indiscutibile La colpa era stata mia che non avevo pensato a prendere tre testimoni invece di due, a raccontargli il contrario di quanto aveva detto Ali ai suoi, e a lasciare che in altrettanta buona fede venissero a deporre davanti al giudice.
Cosi chiacchierando, senza che peraltro nessuno trascuri il proprio lavoro, si passa il tempo nell’ufficio di una ditta di Hodeida. A un certo punto un tale, seminudo, di una magrezza impressionante, entra correndo dalla porta spalancata e si precipita a baciarci la mano. Poi si siede a una scrivania e si mette a scartabellare fra la corrispondenza. Rimane qualche minuto così e, levatosi a un tratto, coi gesti più stravaganti e gridando frasi incomprensibili nelle quali riusciamo a distinguere soltanto il nome di Allah, cerca di arrampicarsi su uno scaffale. Finalmente scavalca un’altra scrivania e riprende la corsa per la strada.
Nessuno dei presenti ha fatto caso all’incidente, durante il quale ognuno ha continuato la conversazione come se nulla fosse. Si trattava di un pazzo, uno dei pazzi che a Hodeida vengono lasciati completamente liberi, circolano per le strade, entrano ed escono per le porte aperte. Soltanto quando i pazzi sono furiosi vengono ammanettati per impedirgli di strangolare i passanti, ma anche allora sono lasciati ugualmente in libertà. Questo non era un pazzo furioso: non aveva le manette.
Sandro Volta
Una moschea di Hodeida
I due torrioni di Bab el Mescerif, uno dei quali è stato ricostruito dopo che l’acqua usata dagli ascari lo aveva fatto crollare
Le viuzze ostruite da fumatori di narghilè
(Fot. di Sandro Volta)

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 05.04.39

Citazione: Sando Volta, “La città che si liquefa,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 11 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2540.