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Titolo: Passeggiata scolastica

Autore: Francesco Chiesa

Data: 1939-05-24

Identificatore: 1939_162

Testo: Passeggiata
scolastica
Nel tardo pomeriggio, grandi nuvoloni cominciarono a sorgere dietro le alture: bei nuvoloni lenti, che mutavano, con la facilità d’un mutar di pensiero, colore e sembiante. Dentro qualcuna di quelle molli masse, chiare come lane, guizzava ad un tratto un lampo, s’incavava un livido di tempesta; ma erano pure simulazioni, giuochi. Un giuoco anche l’assalto che diedero al sole: come se volessero spegnerlo per sempre. Ma poi rallentavano la stretta e si sbandavano recando per tutto il cielo il rosso vampante della gran fiamma rasentata...
È fuori di dubbio che, se non fosse accaduto quel ch’era accaduto, il professor Cerchi avrebbe fatto fare alt alla sua brigata d’allievi più d’una volta, perché ammirassero lo spettacolo d’un tramonto come quello. « Guardate, ragazzi, alzate gli occhi, o terrestri animali. Avete mai visto nulla di più stupendo?... ». Ma quella sera anch’egli camminava senza concedere uno sguardo alle mirabili nuvole, né al maggio in fiore; e quando la strada, girando sul fianco d’una collina, lasciò scorgere ad un tratto la bella ampia conca sottostante, sparsa di villaggi, con quel laghetto in mezzo, che splendeva di una luce incredibile nel verde già spento delle campagne, nonché fermarsi a contemplare, a magnificare, rinnovò il comando: « Andiamo!... svelti!... Eh, quei due là dietro... ».
Poiché una brutta cosa era accaduta: uno dei ragazzi, non lo si ritrovava più. Sparito fin dalle prime ore del pomeriggio; chiamato con la voce di tutti insieme; ricercato per tutti i sentieri possibili... Ancora si poteva supporre, si doveva sperare che quello sciagurato Vanni si fosse smarrito, semplicemente smarrito; che lo si ritroverebbe sano e salvo ai piedi d’un faggio, in capo a uno dei tanti viottoli, in una di quelle mille cascine. Sperabile. Però Monte Gaglia non è un monte da fidarsene tanto. Non è come uno di quei rari uomini, che si può dire: è tutto perfetta innocenza e lealtà; nessun timore che ci procuri brutte sorprese. No: con quel suo aspetto, chi lo veda a distanza, d’un buon gigante corpulento, con quelle sue gobbe mansuete, Monte Gaglia è una perfido sornione, pieno d’insidie e di tradimenti; e la sua storia abbonda di vittime. Alcuni di quei dossi morbidi, mondi, coperti d’un verde così dolce, sono, dalla parte opposta, roccia scellerata, salti a piombo nell’abisso. Certi sentieri menano lemme lemme sul ciglio d’una frana in movimento. C'è una caverna che entra piana piana; e, a cinquanta passi dall’entrata, si apre un pozzo senza fondo...
Un gruppetto di ragazzi, scesi per una scorciatoia, irruppe tra i compagni gridando: «C’è! c’è! L’hanno ritrovato... ». Ma nessuno di loro l’aveva visto; nessuno fu in grado di confermare la lieta notizia in modo rassicurante. « Mah... ce l’hanno detto... È il Gigli che ce l’ha detto... Il Gigli l’aveva udito dal Giovannini ». « E dov’è il Giovannini? ». S’era fermato lungo il sentiero a trarsi un ciottolo da una scarpa: oh, eccolo finalmente. E spiega che no, non è così; che ha incontrato un uomo con un fascio di legna sulle spalle; che quell’uomo gli ha detto d’aver visto un giovinotto lassù dalle parti di Dosso Grande. « E com’era quel giovinotto? gli hai domandato? ». « Io no ». Un paesano che stava falciando erba nel prato lì presso, interrompe il lavoro e s’avvicina ad ascoltare. «Basta... », dice. E si mette a raccontare che, tanti anni fa, egli aveva comperato il taglio d’un bosco dall’altra parte del monte, verso le Ghigne: brutti posti, da dover legarsi con le corde. E che là, in un piccolo ripiano a mezz’altezza sul precipizio, aveva trovato il cadavere di quel signore tedesco scomparso tre anni prima, con i suoi abiti ancora indosso... « Per un paio di giorni m’è passata la voglia di mangiare... Un’altra volta... ».
Il professore Cerchi non volle altri racconti del genere e rimise in moto la compagnia: anche perché (se ne ricordò allora) l’ordine era che tutti dovessero trovarsi sul piazzale della stazione di Rivalta per il treno delle venti. Rimaneva appena appena il tempo necessario; e il cielo s’era tutto coperto, anticipando la notte.
Buio fitto, quando giunsero alla stazione. Un bruno, un bigio di ragazzi formicolava nel piazzaletto debolmente rischiarato da una lampada appesa tra le piante e da un po’ di barlume che filtrava da una porta a vetri; un brusìo, da cui emergeva la vocetta fessa del professor Costa: « Gruppo B, a destra... A destra... Non sapete nemmeno da che parte è la destra?... E tu, De Luigi, chiama i tuoi, perdio!... ». Il professor De Luigi, imbronciato più del solito, se ne stava seduto sul colmo d’un paracarro, masticando un mozzicone di sigaro spento. « Ah, tu, Cerchi! finalmente... Ma il direttore? dov’è il direttore? ». Nessuno sapeva di Sicuro: chi diceva di averlo visto su alle Casacce; chi sosteneva che, fin dalle prime ore del pomeriggio, s’era recato con due uomini a esplorare un certo burrone dietro il Dosso Grande; chi parlava d’un gran rotolo di corde visto salire sulla schiena d’un mulo verso la Caverna del pozzo...
«E noi, cosa si fa?... ». Il capostazione uscì ad avvertire che il treno sarebbe lì fra dieci minuti: consigliava ai presenti di profittarne; gli altri avrebbero potuto prendere il treno delle ventitré. Il professor De Luigi fu senz’altro rabbiosamente per il sì: « Non c’è da discutere; si va. È dall’alba che siamo in ballo. Chi vuol restare, resti; io me ne vado». E si mosse per entrare; ma fu trattenuto dal collega Cerchi: «Va bene, si parte. Raduna i tuoi ragazzi; noi raduneremo i nostri ».
Presto detto, radunare. Degli ottanta che dovevano essere, ce ne saranno stati lì cinquanta, sessanta al più. Di tanto in tanto due o tre altri arrivavano dallo stradone, dalle stradette laterali, attraverso i campi e i prati, su dalle prode. Voci di sbandati si chiamavano, si rispondevano, vicine, lontane, nella tenebra molle senza stelle. « Longhi... Trinchera... Malfatti... Gaia... De Rossi... », chiamava la vocetta fessa del professore Costa, che si era tolto di tasca l’elenco del suo gruppo e si studiava di farvi cader sopra la poca luce della porta a vetri. Il professore De Luigi saltò sul muricciuolo e lanciò col suo tremendo vocione un appello da poter essere udito un miglio in giro: « Hopp!... hoop!... Alla stazione... Tutti... Si parte... ». Qualcuno arrivò a corsa; qualcuno sbucò da chissà dove, qualcuno sorse di tra l’erbe; ma ancora ne mancavano; e tra il « si va », « non si va », « io parto », « io resto », e il gridìo, che non si poteva afferrare una parola intiera, e il buio che tutto annegava in un disordine indecifrabile, il treno sopraggiunse, sostò il suo minuto, e ripartì.
La voce del professor Cerchi si levò a raccomandare calma e pazienza, e che nessuno s’allontanasse più. « Aspettiamo con buona fiducia », soggiunse. « Fra poco anche il direttore sarà qui, col nostro Vanni sano e salvo».
La ressa che s’era formata sulla soglia della stazione si allentò mormorando e si disperse in gruppetti e crocchi. Parecchi si sedettero in terra, lungo lo steccato, sopra un mucchio di ghiaia, e venivano frugando nei loro sacchi se ci fosse ancora un pezzo di pane, qualche altro rimasuglio delle provviste; alcuni si cavavano gli scarponi da montagna a lasciar respirare i piedi indolenziti; alcuni scesero nel prato lì sotto. Qualche voce ancora sorgeva qua e là: nomi di compagni che si richiamavano; il verso di uno che si divertiva a rifare il gatto che miagola, il cane che abbaia; un tentativo di canto; un breve alterco intorno alla fontana.
Un treno diretto passò di schianto, lasciando più buio e più silenzio: un silenzio, di tanto in tanto, da credere che non ci fosse più lì anima viva, ma solo il trillare di qualche grillo e, nell’interno della stazione, quel campanellino che lasciava fluire senza fine il suo tintinnio fitto.
Poi tutti balzarono su, e si affollarono sul piazzale sentendo che il direttore era tornato. « Nulla », rispose a chi l’interrogava; comandò ai professori che facessero entrare i ragazzi nella stazione; entrò anch’egli; fece salire tutti sul treno.
— Ma voi, direttore? Salite. Il treno parte.
— No, io resto.
Nell’istante che seguì, i volti affacciati agli sportelli poterono vedere. Videro ad un tratto comparire sul marciapiede la figura d’un ragazzone col sacco sulle spalle, senza giacca, senza cappello... E il direttore, fermo come una statua, un attimo, dinanzi al Vanni... Poi gli disse qualche cosa; e il Vanni rispose qualche cosa... Poi il direttore spiegò di colpo il braccio e diede al Vanni uno schiaffo da spiccargli il capo... Poi rimase un istante immobile; poi gettò le due braccia al collo del Vanni, e si mise a piangere e a singhiozzare...
Il treno s’era intanto messo in moto e i volti affacciati non poterono vedere altro.
Francesco Chiesa

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 24.05.39

Citazione: Francesco Chiesa, “Passeggiata scolastica,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 03 dicembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2579.