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Titolo: I ladri

Autore: Ugo Betti

Data: 1931-07-01

Identificatore: 32

Testo: I ladri
Si sente fischiare sommessamente, due volte, nel cortile. Poco dopo una finestra piccola, molto in alto, s’illumina, vi appare una testa. Nella stanzuccia ingombra di vecchie sedie accatastate, lo studente (come lo chiamano) ha acceso una candela, palpa sul letto i vestiti, ancora umidi, più scuri, si veste con degli sbadigli nervosi. Non ha potuto affatto dormire in quelle tre ore passate ad ascoltare il ronzio del pastificio e il rumore dei tram che tornano al deposito; non gli è riuscito nemmeno di riscaldarsi i piedi; si sente la stanchezza soprattutto intorno agli occhi, come quando si ha la febbre. In fondo alle scale, sbocconcellate, viscide, con qualche finestra pallida di neve che si apre ogni tanto nel buio, appare un’ombra. E’ il Giorgio, appoggiato a uno spigolo, con una sigaretta.

Camminano insieme rapidamente sui marciapiedi deserti, voltando gli occhi per abitudine agli usciali appannati delle liquorerie, che s’aprono talvolta, con onde di vocio. Lo studente ora ha aperto uno di quegli usciali, ordina un bicchierino scaldandosi le mani al metallo della macchina. Prova un certo piacere nel sentire il Giorgio bestemmiare a bassa voce. Per irritarlo anche di più, cento passi più avanti entra in un altro bar, pieno di fumo, di segatura bagnata. Mentre alza la tazzina, osservando in uno specchio appannato la sua faccia malaticcia (ora abbastanza colorita, però) si sente toccare: è la sorella che s’è alzata da un tavolo. La ragazza gli chiede come sta, gli mette in mano, togliendolo dalla borsetta, un pacchetto di sigarette quasi intiero, fa per accomodargli la cravatta, benché già sappia che lui la farà in là con ira. Nell’uscire lo studente incontra ancora laggiù gli occhi della sorella, che lo segue da un tavolo rumoroso, sporgendo la testa per fargli un sorriso.

Il Bello è ad attenderli con una automobile da piazza all’angolo del mercato, fra mucchi di neve sporca. La macchina percorre dei viali male illuminati, fra case in costruzione e steccati, poi esce dalla città, s’immerge nel buio. Lo studente, che è solo nel sedile posteriore, si sente quasi cullare dal rumore, rivede la faccia incipriata della sorella che gli sorride sotto la réclame d’un cognac; poi tenta di ricordarsi un motivo udito in un cinema, ieri o forse ier l’altro. L’unico guaio è il freddo, si sente i piedi come due pezzi di ghiaccio. Si diverte ad immaginare che andranno, andranno senza fermarsi fino a qualche città con gli alberghi a vetrate e le palme davanti al mare turchino, come nelle cartoline a colori. La macchina invece, rallenta, si ferma vicino a una siepe piegata dalla neve. Sono arrivati.

Il Bello bisbiglia qualche cosa, risale in macchina ad aspettare. Gli altri due si avviano sulla neve che scricchiola, girano intorno alla casa tutta chiusa e buia, trovano l’inferriata, che è molto arrugginita, ne allargano una maglia con un palo, alzano con una lama il saliscendi dello sportello. Lo studente, che è stretto di spalle, s’infila a testa avanti fra le due sbarre allargate, si cala giù tastando con le mani, va brancolando fino alla porta, muove il paletto. Ora è dentro anche il Giorgio, hanno riaccostato lo sportello, accendono un mozzicone di candela, guardandosi intorno. E’ una stanza quadrata, imbiancata di fresco, vuota: in un angolo, poche bottiglie sporche e delle tele cerate da camion piegate in quattro. Tastano l’uscio interno, che dà nella bottega. Subito il Giorgio corruga la fronte. E’ massiccio, sbarrato dal di dentro con catenacci a muro. Posa a terra la candela, facendosi salire dietro le spalle la sua ombra fino al soffitto, prova con lo scalpello, fra legno e muro. Niente da fare. « Che brutti porci! », ansima il Giorgio, livido, accennando verso il soffitto, dove debbono dormire i bottegai, gente benestante, imbroglioni. Scivola fuori per avvertire il Bello, che venga un po’ a vedere.

Lo studente s’appressa alle bottiglie, fiuta. Due piene d’olio, ma guasto; un’altra smezzata, di vermut; le altre vuote. Davanti a lui, sulla parete bianca, si stampa l’ombra dei suoi gesti, ingigantiti dalla candela rimasta a terra. Il ladro alza una mano, muove le dita, ha la sensazione che tutto sia un giuoco stupido. Avrebbe gusto a dar fuoco alla casa, prima di uscire; ma occorreva trovare anziché olio, benzina. Si sente voglia di litigare, di far qualche spavalderia. Accostandosi al Bello che nel frattempo è entrato, con le sue scarpette di vernice, e sta esaminando la porta, si mette a ridere quasi forte, dicendo che hanno fatto un bel guadagno davvero: due litri d’olio. Siccome l’altro, torvo, gli fa cenno di tacere, comincia a dire a voce quasi normale che lui non ha mica paura, di niente. Più ne succedono, più lui si diverte. S’interrompe. Il Bello con un salto ha spento la candela. Fermi, al buio, con gli occhi spalancati e il cuore in gola, stanno a sentire un rumore strano, leggero che sembra venga dall’alto. Nulla. Forse un gatto.

C’è del cattivo umore, sulla macchina, mentre tornano indietro, al magazzino vuoto dove sta il Giorgio. Il Bello fa una smorfia di disprezzo, con la sua faccia che sembra rosicchiata da un acido, e se ne va con la macchina. Gli altri due entrano nel magazzino portando le tele cerate, un valore di cinquanta lire, rattoppate come sono, e si fermano un po’ lì, passandosi la bottiglia del vermut, per dir male del Bello che non sa combinare nulla di buono. Quando il Giorgio comincia a sbadigliare, lo studente, che non ha più voglia di rimettersi in strada, s’accomoda in un angolo, sulle tele cerate che sanno di benzina, tirandosele in parte sopra, come coperte. Il Giorgio ha girato la lampadina, s’è coricato su dei vecchi cuscini da automobile. Silenzio. Ora si sente solo una grondaia rotta che stride, chi sa dove. Lo studente spera di potersi addormentare, ma ha un po’ paura di non riuscirvi, e quasi atteggia il viso, senza avvedersene, come sé supplicasse qualcuno, con gli occhi chiusi. Sente i pensieri farsi a poco a poco opachi, come gelatinosi; sono ridotti, ormai, a due masse vischiose, che tendono a saldarsi. S’avvicinano, tutto si fa oscuro... ma poi, ecco, c’è sempre qualche idea fastidiosa che si mette di mezzo, il Bello per esempio, con la sua faccia tarlata. Cerca di cullarsi in pensieri senza importanza, smussati; ma non gli riesce, ecco qua, adesso lo disturba il pensiero del freddo, pensa con angoscia che non gli è ancora riuscito di riscaldarsi i piedi. D’un tratto riapre gli occhi con disperazione: è sicuro che non potrà dormire. Chiama sommessamente, quasi supplichevolmente il Giorgio che deve essersi addormentato appena messo giù. «Giorgio! Giorgio! ».

Il respiro pesante dell’uomo s’inceppa, si interrompe. Una voce appannata piena di malumore chiede che diavolo c’è.

La voce dello studente risponde che non si può dormire, con quella storia della grondaia; chiede se non è il caso d’andare a trovare una donna per portarla nel magazzino. Si sente un movimento, vien girata la lampadina. Ora il Giorgio, benché sbadigliando, s’è messo il cappello, è uscito a dare un’occhiata verso la stazione, dove di donne ce n’è sempre qualcuna fino a giorno. Lo studente, solo, guarda con occhi atoni le pareti bianche, punteggiate di scrostature e di chiodi, le macchie circolari lasciate sul cemento dai fusti di lubrificante, la lampadina che penzola da un filo e fa male agli occhi, ed ha qualche cosa di sconsolato. Ha la sensazione che tutto questo non sia vero. Gli duole un ginocchio, deve esserselo ferito nel traversare la inferriata. Torna il Giorgio borbottando che s’è levata la nebbia, non ha trovato nulla, è troppo freddo. Ora è passato il sonno anche a lui, siede li accanto a chiacchierare e a fumare, guardandosi le scarpe, che son già consumate, in due mesi, corri di qui, corri di là, non durano nulla, e per giunta seguitano a fargli male. E’ un uomo dalle spalle molto grandi, ma dalle mani abbastanza piccole, gli occhi da ragazzo e quasi completamente sdentato. Lo studente lo guarda e d’improvviso si sente intenerito, vorrebbe dire una barzelletta al Giorgio, battergli la mano sulla spalla. Il Giorgio, che ha alzato lo sguardo, s’accorge di qualche cosa, si confonde, come se si vergognasse. D’un tratto comincia a dire che spera d’esser preso come lavatore in un garage; in questo caso prenderebbe moglie, una donna di giudizio che ora è serva in un’osteria, cucina molto bene.

Lo studente, che ha voltato gli occhi, dice con asprezza che a lui, invece, non importa nulla, lui non ha salute, ha poca vita, il suo gusto sarebbe di vedere il mondo spaccarsi, distruggersi a pezzetti.

« Va a momenti », ammette il Giorgio sbadigliando con la sua bocca sdentata. E’ questione d’umore: chi ci capisce nulla? «Va a momenti», ripete pensieroso. Intanto si cominciano a sentire, benché sia ancora buio, i primi tram lontani, che escono dai depositi.

Ugo Betti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 01.07.31

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Citazione: Ugo Betti, “I ladri,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/32.