Modisteria (dettagli)
Titolo: Modisteria
Autore: Marcello Gallian
Data: 1933-03-08
Identificatore: 1933_149
Testo:
Modisteria
Il barbiere da un lato, la macelleria dall’altro, nel mezzo è il negozio della Moda, una cameraccia vecchia verniciata a nuovo, fra armadi enormi schiacciati a terra dal soffitto, e certi trespoli risecchi che portano sulla cima appollaiato un cappello. È un negozio antico, la modisteria, passato in nuove mani e non si farebbe caso se all’improvviso dovesse entrare, sbagliando di porta, un facchino con un cosciotto di bue sanguinolento sulle spalle o un uomo appena rasato, ancora umido e fumante, l’asciugatoio sulle spalle, sfuggito dalle mani del barbiere. Il vicolo nascosto nel cuore della città grande e lussuoso protegge questi negozi e, in certe ore del giorno, l’aria è cosi allegra, di festa e tanto il rumore che una vasta mania di comprare prende i passanti: uno, uno solo che entri nella bottega del barbiere, è costretto a comprare una matita nel negozio accanto e poi un cappellino e poi ancora, che ci si trova, un pezzetto di carne magari, senz’osso, da mettere in tasca e alla fine, esausto, ficcarsi nel negozio dei « Ciondoli dorati » o nel caffè all’angolo.
Ma la modisteria è luogo ritirato e cieco, quasi, deserto in alcune ore del giorno: vi capitano donne allegre, vecchie tinte, ragazzette crudeli e risparmiatrici, con i capelli aggiustati allora allora, ancora odorosi di ferro e di lavanda: e mentre osservano la merce e contrattano, si ode il picchiare del martello del macellaio sul marmo, s'ode il frastuono della macchina che fa le frizioni, del barbiere unguentato. Esce alla fine quella gente dell’arte, rotta ad ogni vizio, e la modisteria rimane vuota. Ma sulle prime ore del pomeriggio arrivano di lontano madri di famiglia accompagnate dai mariti e dalle figlie piccole, dai parenti e perfino dai nonni vecchi e decrepiti, che si reggono sul bastone, un giorno eleganti, la cravatta bianca e il colletto duro.
Entrano e si fan loro incontro due bambine, una bionda, l'altra scura, le trecce sul petto, l'aria candida e sacrificata, fruste nei costumi, le mani rosse dalle faccende di cucina. Poco dopo, da un armadio, vien fuori, sempre, il padrone. È un omaccione tardo e cerimonioso, quasi elegante che mette l’impressione, a guardarlo nel viso equivoco, debba vendere i cappelli clandestinamente, quasi di trafuga, quasi merce di contrabbando addirittura; reso nella persona così grasso dalle donne, porta un fazzolettaccio al collo, nero a palline bianche.
Via nelle sue mani grassocce, i cappelli fan miracoli: sembra abbia conosciuto le donne dalle varietà di quei feltri, per quei feltri e quelle tese abbia patito tutta una vita, per quei « modelli di casa propria » abbia navigato il mondo e sopportato avventure d'ogni genere. S'è quasi abbrutito, insomma.
« Son cappelli di città, questi », dice, e con tali parole sembra gli convenga dimenticare completamente la natura, le campagne, i covoni di paglia, le grandi fabbriche di tessuti, la lana delle pecore e il cotone delle piantagioni. Son cappelli di città, messi su alla meglio e con gusto, con nastri, pezzi di feltro, calottine trovate chissà dove, tese perdute, fermagli di metallo, perle false e ninnoli di colore. Nelle sue mani di macellaio, i cappelli girano lievi e facili, ancora puri, quasi di figura; poi dall’alto, quasi dal soffitto, quasi dalla cima della sua vita febbrile e dannata, li fa scendere, li cala, li rende umani sulla testa delle donne, li atteggia a meraviglia, trova il verso: conosce i misteri delle nuche femminili, il valore dei capelli delle donne, di quei capelli sacri e strapazzati dalle ire degli uomini, dalle mani dei mariti e degli amanti, dalla infinita dolcezza dei figli piangenti. Ma s’abbuia se vede chiome lunghe e allora afferrata una delle sue ancelle, dimostra con fatua leggerezza crudele l’impaccio di quei capelli a trecce e la polvere e la nebbia grassa della forfora d’un tempo.
« Devon essere capelli svelti — dice ancora. — I cappelli nuovi, che noi creiamo, son leggeri e gentili: barchette, cupole per traverso, quasi berretti, scodelline, piatti di lana. Li vedrete, signore, nelle vetrine di altri negozi, al prezzo di duecento lire o poco meno. I miei cappelli costano sessantacinque lire e ci metto di soprappiù, la veletta, un velo di veletta ».
E a dimostrarsi gentile e di mondo, se vede un bambino che si dimena per la grande acqua che ha ingoiato lo affida a una delle due ancelle e grida: « Portalo di là, sai tu quel che devi fare, ma con delicatezza: fatti pratica ».
Poi, a scusarsi, questo popolano giramondo, reso equivoco dalle donne, continua: « A Parigi, quelli che pensano alle mode, son tutti uomini: gli uomini a Parigi, son modisti e sarti, mentre son barbieri le donne. Le donne pensano alla pratica dei cappelli, alla fattura; son gente che vanno trattate a ordini le donne, a comandi, in questo genere di merce e confezioni. E lasci fare a me e si fidi... ».
S’è accostato ai capelli della donna, biondi, grossi, che sanno di casa: sembra che gli venga voglia di annusarli. Poi con un dito fa il nodo, a meraviglia, da giocoliere, della veletta sul capo della donna e alla fine vi depone il cappello, un tocchetto marrone, a piccole tese.
E intristisce: quando tornano le ancelle, fa una carezza al bambino ormai felice e posato; le due commesse seggono lontane, in un angolo: sembrano residui d’una grande Margherita, quella che aveva trecce si lunghe, da farne funi per amanti, fuor del balcone.
Impacciata, senza il coraggio di sentirsi superba per esser passata accanto ad una grande eleganza di sapore straniero, la famiglia se ne va, stretta attorno alla donna che porta il cappello nuovo.
E il padrone rimane solo, fra le due commesse assurde. Il macellaio ha finito di spaccare crani di agnelli, si fa sulla strada e, accertatosi che la modisteria sia vuota, entra: poco dopo ne esce nuovamente e tiene col pizzo delle dita un cappellino, un cappellino leggero che si macchia appena di sangue. La macellaia, rapita fra due enormi ventri d’animale scuoiato, si rimira nello specchio e sorride.
Marcello Gallian.
Collezione: Diorama 08.03.33
Etichette: Marcello Gallian
Citazione: Marcello Gallian, “Modisteria,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 16 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/959.