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Titolo: Il mondo e il libro

Autore: A.S.

Data: 1931-07-29

Identificatore: 97

Testo: Il mondo e il libro

I.

I pericoli della lettura

Una recente inchiesta, condotta in America presso eminenti educatori intorno ai pericoli che la lettura di certi romanzi troppo popolari d’avventura e d’intrigo potrebbe costituire per la gioventù, s'è conclusa con inaspettato ottimismo. Da fonte autorevole si è, infatti, affermato che questi pericoli non esistono, che quasi sempre la fantasia giovanile presto si libera e si depura dall’ingombro che queste letture producono e che, nella maggior parte dei casi, esse lasciano, anzi, la voglia di letture più scelte e più elevate. Meglio leggere le dispense « sanguinarie » a buon mercato, in cui romanzieri da strapazzo raccontano storie più o meno verosimili di più o meno autentici briganti e delinquenti, che non leggere nulla. E’ la conclusione stessa che troviamo in un volumetto di memorie or ora pubblicato da Thomas Okey, professore emerito di italiano nella Università di Cambridge, un vecchio autodidatta, nato di poverissima famiglia nell’East End di Londra, e che, anche lui, da ragazzo, verso il 1860, s'è deliziato colle dispense dei romanzi popolari come tanti altri ragazzi, che non per questo — egli dice — si son trovati a scegliere la professione del Ma quanto cammino s’è fatto da quel tempo ad oggi, non nel mutamento del favor popolare e giovanile per certi romanzi, ma nella valutazione dei pericoli della lettura. L’Okey ricorda che al tempo della sua gioventù erano ancor vivi quei pregiudizi pei quali la proposta di Anna Moore, che i ragazzi venissero istruiti nella lettura della Bibbia, venne considerata come pericolosa, « perchè se si fosse insegnato a leggere ai poveri la Bibbia, essi non si sarebbero fermati a questa lettura », e rammenta che quando, nel 1840, Carlyle invitò un alto funzionario del Ministero delle Colonie, lo Spedding, a dare il suo nome per favorire la proposta fondazione della London Library, si sentì risponder da lui che i suoi prospetti di avanzamento al Ministero sarebbero stati molto danneggiati se egli si fosse messo in mostra in una impresa di quel genere. L’Okey stesso un ottimo esempio della possibilità che anche un ragazzo d’umilissima origine operaia si sottragga presto all’influsso di certe letture, salendo, senza fatica, a letture migliori e veramente formative. Certe edizioni economiche di romanzi d’avventure lo indussero, infatti, a ricercare edizioni non meno economiche di autori come Scott e come Dickens, e dei classici della letteratura inglese, e non lo distolsero da quella che costituì presto una sua predilezione speciale: lo studio delle varie lingue straniere e in primo luogo del francese e dell’italiano. L’Okey è stato il « poliglotta » segretario delle prime spedizioni in Italia di carovane di studenti e di professori inglesi, pellegrini invasi dall’amore per la nostra terra e la nostra arte, pieni di entusiasmo ma scarsi di mezzi, che impiegavano il magro peculio dei loro risparmi, quotizzandosi, per venire a fare « la scoperta dell’Italia ». Le « cattive letture » non hanno impedito all’Okey, fabbricante di cestini di vimini, di giungere a tradurre Dante, di scrivere una buona storia di Venezia e di salire ad insegnar l’italiano da una cattedra universitaria.

II.

Il fallimento di sir Walter Scott

Ricorrendo l’anno prossimo il centenario della morte di Walter Scott, s’annunziano già molte pubblicazioni rievocative dell'opera e della gloria del grande scrittore e verrà certo in mente a qualcuno di riandare al più doloroso episodio della sua vita, quello del fallimento che precedette di pochi anni la sua fine e la immerse in un’ombra di tristezza. E’ un episodio ancora un po’ misterioso, poiché ancora non ci si rende perfettamente conto del come lo scrittore, così meticoloso nei conti del suo bilancio, si lasciasse coinvolgere tanto improvvidamente negli affari editoriali, ch’egli non poteva seguir troppo da vicino, di tre aziende tipografico-editrici, quella dei Robertson, quella dei Ballantyne e quella dei Constable.

Segretamente legate tra loro da un attivo scambio di cambiali, queste imprese erano destinate, andando male le cose per una, a cadere insieme, ove non avessero trovato a tempo nuovi sconti bancari e fu quello che malauguratamente avvenne, colla conseguenza che anche Sir Walter Scott venne travolto nel crollo di questi amici editori. Fu un fallimento clamoroso, in cui andò perduta tutta la fortuna dello scrittore, a cominciare dalla sua proprietà di Abbottsford. Da un giorno all’altro, con grande sorpresa di tutti ed anche dei suoi famigliari ai quali egli era riuscito a tener segreti i rapporti ch’egli aveva coi suoi editori, Sir Walter si trovò rovinato e ridotto a « schiavo della lampada », proprio quando pareva esser giunto all’apice della celebrità non solo, ma della fortuna. Lo scrittore evitò la dichiarazione pubblica del suo proprio fallimento solo perchè rinunziò onestamente in favore dei creditori, con pubblica cessione, ai diritti delle sue opere scritte e da scrivere. Fu un colpo tremendo e Walter Scott si trovò, così, a dover pagare il fio dell’aver voluto troppo leggermente correr l’alea di partecipare a pericolose imprese editoriali, dopo aver già una volta, molti anni innanzi, costeggiato un precipizio economico. Ma egli seppe sopportare la sfortuna con grande rassegnazione e diede prova della sua forza d’animo, del suo spirito di sacrificio e della sua bontà, riponendosi al duro lavoro per non danneggiare nessuno e oltre tutto non serbando alcun rancore verso coloro che lo avevano trascinato sotto le macerie delle loro aziende in rovina. Egli sopportò anche con rassegnazione ciò che per lui doveva costituire l’umiliazione maggiore: quella di aggirarsi ancora per una proprietà di cui era orgoglioso, che si era conquistata a prezzo di tante fatiche e di cui ancora gli era rimasto l’uso, ma che non era ormai più sua. Certi critici autorevoli asserirono che egli avrebbe mostrato un maggior coraggio e una maggior forza d’animo lasciandosi dichiarar fallito e rinunciando addirittura a scrivere per sanare le sue malefatte commerciali. Ma Sir Walter scelse la via più confacente al suo animo e forse al suo rimorso verso i famigliari, la via assegnatagli dal più ovvio dovere, di continuare a lavorare indefessamente « a costo di morirne ». E per cinque o sei anni, accasciato dalla sventura e dalla fatica, egli continuò a scrivere sino a morire.

III.

Pochi libri ma buoni

Per ovviare nel modo più giudizioso alla crisi del libro che tormenta anche il mercato americano, alcuni editori degli Stati Uniti hanno pensato in questi giorni che convenga limitare il più possibile la produzione ed avvertono che i loro listini delle novità autunnali saranno molto ridotti rispetto a quelli della stessa stagione dell’anno scorso. Ciò equivale a confessare che anche la crisi del libro è, almeno in parte, motivata non tanto dalla trascuratezza del pubblico e dalla crisi generale economica, quanto da una superproduzione, alla quale si vuol ora cercare di porre riparo. E’ da notare che questo annuncio di economia editoriale vien fatto da importantissime Case editrici, sulla cui ricchezza e sulla cui solidità non possono esister dubbi. Esse vogliono dare un buon esempio alle Case minori ed anche al pubblico, un esempio che è avvalorato dalla loro stessa potenzialità. Nel tempo medesimo, esse annunziano che la produzione limitata che lanceranno sarà migliore, perchè più ponderata e vagliata e che quindi, per ogni verso, la loro nuova politica di economia dovrà riuscir vantaggiosa al mercato del libro e all’interesse del pubblico. Ne dovranno esser lieti anche quei critici che, sino a ieri, hanno imputato la decadenza del pubblico americano che legge e di quello che non legge alla soverchia farragine libraria lanciata ad ogni stagione da editori che misuravano la loro importanza dalla lunghezza delle loro liste di libri nuovi, il più delle volte di nessun valore, anzi tali da far perdere ad ogni sorta di lettori il gusto del libro e da disorientare le meglio intenzionate clientele librarie. L’economia annunziata deve significar per loro un tentativo coraggioso di risanamento e non un segno di stanchezza. Già si prevede, così, una campagna generale contro la superproduzione libraria, con questa parola d’ordine: « Pochi libri, ma buoni! ».

A. S.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 29.07.31

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Citazione: A.S., “Il mondo e il libro,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 13 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/97.