Le stagioni (dettagli)
Titolo: Le stagioni
Autore: Giuseppe Ungaretti
Data: 1931-09-30
Identificatore: 168
Testo:
Le stagioni
1.
O leggiadri e giulivi coloriti
Che la struggente calma alleva,
E addolcirà,
Dal fuoco desioso adorni,
Torniti da soavità;
O seni appena germogliati,
Già sospirosi,
A mire ladre, pronti, colmi e trepidi; B
el momento, mi ritorni vicino.
Iridi libere fiorivano
Sulla tua strada alata;
L’arcano dialogo scandivano.
O bel ricordo, siediti un momento.
Non crederà, l’illusa adolescenza,
Che il vento muta.
2.
Già si consuma
L’ora d’estate che disanima.
E’ già l’ora voraginosa.
E’ ora di luce nera nelle vene,
Già degli stridi muti degli specchi,
Dei precipizi falsi della sete;
Fra diverse maturità di climi,
E’ l’ora truce e persa,
Dei sospesi sepolcri.
Soli ormai, oscillando stanchi,
Dal fondo sangue, polverosi,
Ciechi i ricordi invocano:
L’ombra si desterà
Sulla trasparenza del fosso
Sull’altura lunare.
E in sul declivio dell’aurora,
Con dolcezza di primi passi, quando
La veemenza suprema
La terra della notte avrà toccato
E in freschezza sciolto ogni fumo,
Tornando impallidita al cielo,
Un corpo sorpreso mi svelerà.
Ed alte foglie, docili e sonore,
D’un soffio, tenero e il più memorabile
Ella coronerà.
3.
Indi passò sulla fronte dell'anno
Un ultimo rossore.
E il coro della gioventù lontana
Modulare s’udì:
Sopra il fosso dell’acqua sempre garrula,
Vidi riflesso uno stormo di tortore
Allo stellato grigiore s’unirono.
Fu quella l’ora più demente.
4.
Ora anche il sogno tace.
Nuda, l’antica quercia, ma tuttora
Abbarbicata è, sveglia, al suo macigno.
Giuseppe Ungaretti.
Argomento: Un uomo, varcata la quarantina, si volge a guardare il suo primo tempo, nel quale la vita è sommersa nel sogno; Iride, messaggera celeste, è ancora libera, è la misura del discorso, in ogni età misteriosa, tra l'essere e la natura. Nel secondo canto si tratta dell'estate, stagione drammatica, tempo, per l’essere, di luce nera nelle vene; è l’età del poeta, e anche essa ha il suo sogno, sogno sommerso nella vita; è, il sogno, una gioventù che lo coglie di sorpresa; e, il più promesso, il più bramato, il meno dimenticabile, questo sogno somiglia, nei giorni più caldi, a quei momenti, fra la fine della notte e il principio della mattina, di ottima freschezza. Il terzo canto esprime l’autunno; la gioventù, ultimo fuoco, appare di colpo un sogno lontano, un volo grigio che ha un riflesso e che si perde; sogno e vita si separano per sempre. Nell’ultima parte, l’essere ha raggiunto la sua solitudine; il paesaggio è freddo e nudo: e, nella terra., dice la quercia, ci sono radici che resistono alle stagioni. Quanto alla luce, ogni poeta dovrebbe avere la sua; il Petrarca ha quella della Toscana e della Provenza, una luce che da sonetto a sonetto vuole solo un lieve passaggio di chiaroscuro; se la mia ha molti specchi, se ha sete d’acqua e di luna, se è morsa, se ho passato gli anni più impressionabili sulla soglia del deserto, è colpa mia?
Collezione: Diorama 30.09.31
Etichette: Giuseppe Ungaretti, POESIA
Citazione: Giuseppe Ungaretti, “Le stagioni,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/168.